Fanfani, artefice dello Stato sociale

Mi onoro di essere stato un sostenitore di Amintore Fanfani, che ho conosciuto di persona e incontrato numerose volte negli anni giovanili del mio impegno in politica (1956-1968). Anni in cui lo statista democristiano guidava la spinta verso quella politica di riforme e di intervento dello Stato nell’economia che avrebbe trasformato l’Italia arretrata e disastrata del dopoguerra nel Paese del “boom” economico (sesto tra i “G7”), della scuola aperta e garantita a tutti, dello “Stato sociale” (contratti collettivi di lavoro, pensioni, assistenza sanitaria gratuita, tutela della maternità, cassa integrazione, costruzione di case popolari, affitti ad equo canone…), e che avrebbe sanato la piaga ormai secolare dell’emigrazione forzata all’estero di milioni di italiani in cerca di lavoro. 

Economista di fama e professore universitario, eletto all’Assemblea costituente nel 1946 e poi al Parlamento per 5 legislature, senatore a vita dal 1972 al 1999; successore di De Gasperi alla guida della Democrazia Cristiana, due volte segretario del partito; sei volte capo del Governo tra il 1954 e il 1987, ministro in vari dicasteri; tre volte presidente del Senato; presidente dell’Assemblea generale dell’Onu per il biennio 1965-1966.

A lui, che fu tra i protagonisti dell’Assemblea Costituente, si deve la formula dell’articolo 1 della Costituzione: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”.

Fu con Aldo Moro, Pietro Nenni, Giuseppe Saragat e Ugo la Malfa tra gli artefici della svolta politica di centro-sinistra che aprì alla collaborazione della Democrazia Cristiana con il Partito Socialista nel governo del Paese.

Porta il suo nome il grandioso “Piano Fanfani – Ina Casa” per la costruzione di circa 355mila alloggi di edilizia residenziale pubblica in 14 anni (1949-1963), per un totale di circa 2 milioni di vani, con l’impiego stabile di una media di 41mila lavoratori edili ogni anno.

Ai governi da lui presieduti si devono altri importanti successi, come la nazionalizazione dell’energia elettrica, la rapida industrializzazione del Paese, il Piano decennale di sviluppo della scuola, l’istituzione della scuola media unica obbligatoria, la realizzazione dell’Autostrada del Sole Milano-Napoli.

In questa foto, del 7 luglio 1963, io sono ritratto (a 21 anni) accanto a Fanfani in occasione di un convegno di studi politici organizzato a Castegandolfo dal Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana, che all’epoca era fortemente schierato a suo sostegno.

Nicola Bruni

Un grande statista di livello internazionale

Nella ricorrenza del centenario della sua nascita, il 6 febbraio 2008, ho assistito a Roma ad un convegno rievocativo del ruolo da lui svolto nella recente storia d’Italia. In quella occasione Francesco Paolo Casavola, presidente emerito della Corte Costituzionale, ricordò che Fanfani veniva da una famiglia relativamente povera (con 10 figli e il padre un piccolo avvocato di provincia), ma abituata alla generosità con i più poveri: ogni venerdì, anche nei periodi di maggiore ristrettezza, i suoi genitori accoglievano in casa alla loro mensa e sfamavano un povero del paese. Da quella “infantile dimestichezza con i poveri” sarebbe derivata la sua “ansia di giustizia sociale”, che lo accomunava all’amico Giorgio La Pira

Oscar Luigi Scalfaro, presidente emerito della Repubblica, disse che Fanfani riusciva a far funzionare, ogni volta, il ministero che andava a dirigere: perché “sapeva ascoltare, sapeva dirigere ma soprattutto sapeva comandare” facendo filare quelli che dipendevano da lui. Così, la sua pluriennale presidenza del Senato continuava ad essere ricordata per sua imparziale fermezza. I suoi interventi in Parlamento erano, spesso, uno spettacolo per la verve toscana delle sue battute. Una volta, interrompendo alla Camera un deputato comunista secondo il quale le case popolari del “Piano Fanfani” erano “di cartone”, disse: “Onorevole …, provi a sbatterci le corna e vedrà che non sono di cartone!”. 

Il cardinale Achille Silvestrini, già segretario di Stato del Vaticano, parlò della politica estera di pace e del prestigio internazionale di Fanfani, l’unico italiano chiamato a presiedere l’Assemblea generale dell’Onu (eletto con i voti di 110 Paesi su 114), dal 1965 al 1966. Allora, la sua candidatura a quell’alto seggio fu particolarmente sostenuta dai Paesi dell’America Latina e del Terzo Mondo, con i quali aveva stabilito relazioni politiche privilegiate. 

Nicola Bruni