La guerra civile di Spagna, che fu anche guerra fratricida tra italiani

L’avvenuta traslazione delle spoglie del dittatore Francisco Franco, morto nel 1975, da un monumento nazionale ad un comune cimitero di Madrid, mi offre lo spunto per ricordare la feroce guerra civile che insanguinò la Spagna nel triennio 1936-1939 con più di un milione di morti.  Da una parte, i “rojos” (rossi) repubblicani, sostenuti militarmente dall’Unione Sovietica di Stalin e da brigate internazionali di volontari. Dall’altra, i nazionalisti del generale Francisco Franco, con il quale combatterono truppe inviate dalla Germania nazista e dall’Italia fascista.

    Per difendere la repubblica accorsero in Spagna circa 3000 antifascisti italiani, 500 dei quali persero la vita e 2000 rimasero feriti. Sul fronte opposto, a sostegno dell’insorgenza del “Caudillo”, Mussolini schierò un’armata di oltre 60mila uomini, 800 aerei, 90 navi e 8000 automezzi, che riportò almeno 4000 “caduti” e 11.000 feriti.

    Ebbene, quella che fu anche una guerra civile italiana, esportata sul suolo iberico, continua ad essere mitizzata dalla maggior parte dei nostri libri scolastici di storia come uno scontro tra democrazia e totalitarismo fascista.

    In realtà, essa fu lo scontro tra due estremismi, entrambi totalitari: quello della repubblica anticlericale e anticristiana, che fin dal 1931 aveva cominciato ad imporre “democraticamente” alla Spagna una dittatura di sinistra intollerante e violenta, scatenando una persecuzione omicida, vandalica, dissacratoria e depredatoria contro la Chiesa cattolica; e quello del nazionalismo fascisteggiante di Francisco Franco, che, ergendosi a difensore della cristianità e degli interessi egoistici delle classi padronali, avrebbe poi sottomesso il Paese a una dittatura reazionaria e repressiva, dal 1939 al 1975.

    Atrocità, massacri, distruzioni, rappresaglie su civili, stupri, saccheggi furono perpetrati da entrambe le parti. I nazionalisti si avvalsero anche di bombardamenti a tappeto compiuti dall’aviazione nazista, impiegarono truppe coloniali marocchine barbaramente violente, e non esitarono a fucilare i preti considerati ostili.

    La furia dei repubblicani si abbatté sul clero, con una media di 70 preti ammazzati al giorno nell’estate del 1936, su chiese e conventi (con incendi, saccheggi, violenze e profanazioni) e su ogni simbolo religioso, “martirizzando” anche moltissime opere d’arte cristiana (tra le quali la Sagrada Familia in costruzione a Barcellona). Alla fine, il bilancio del “genocidio cattolico” fu di 13 vescovi, 4184 sacerdoti e seminaristi, 2365 frati, 283 suore e decine migliaia di fedeli laici uccisi “in odio alla fede”.

    A ciò si aggiunsero le faide interne al fronte repubblicano, con l’eliminazione di molti esponenti trozkisti, anarchici e socialisti ad opera della componente comunista-stalinista, che aveva preso il sopravvento.

    Ottanta anni dopo la fine di quella mattanza, bisognerebbe solo commemorare le vittime, e smettere di glorificare i carnefici.

Nicola Bruni

Nella foto in alto (di Nicola Bruni), manifesti del fronte repubblicano spagnolo che incitano alla ribellione contro l’invasione italiana della Spagna nel 1936.