L’esempio di Alcide De Gasperi, che non cercò pieni poteri

Torna d’attualità, nella prospettiva politica incombente di un Salvini “pigliatutto”, la grande lezione di moralità democratica che Alcide De Gasperi (1881-1954) ci ha tramandato.

    Uscito vincitore, come leader della Democrazia Cristiana, dalle prime elezioni politiche dell’Italia repubblicana il 18 aprile 1948, con la maggioranza assoluta dei seggi in  Parlamento, non cercò di attribuirsi “pieni poteri” e non volle formare un governo monocolore del suo partito, ma lo aprì ad una coalizione di forze democratiche comprendente socialdemocratici, liberali, repubblicani e indipendenti, al fine di garantire una dialettica pluralista nell’esercizio del potere esecutivo e di ampliare la base di consenso popolare al nascente Stato democratico.

    Inoltre, fece eleggere come presidente della Repubblica il liberale Luigi Einaudi e come presidente del Senato il socialdemocratico Ivanoe Bonomi, e nominò ministri degli Esteri e della Difesa i repubblicani Carlo Sforza e Randolfo Pacciardi.

    Lanciò così un implicito messaggio al popolo italiano, dando per primo l’esempio: il partito che ha vinto le elezioni non diventa, per questo, padrone delle istituzioni, ma si pone, insieme con altri, al servizio del bene comune.

    De Gasperi, pur essendo un leader molto autorevole, non si comportò da presidente del Consiglio come “un uomo solo al comando”, mantenne la collegialità delle decisioni sia in ambito governativo sia in quello del suo partito, e non ricoprì anche la carica di segretario politico della Democrazia Cristiana, nella quale – tra il 1946 e il 1953 – si avvicendarono Attilio Piccioni, Giuseppe Cappi, Paolo Emilio Taviani e Guido Gonella.

    Ciò non impedì che ai suoi tempi lo statista trentino fosse contrastato, denigrato e calunniato dalle opposizioni di sinistra e di destra.

    Oggi però gli storici, e perfino molti suoi ex oppositori, riconoscono che De Gasperi era un politico con un alto “senso dello Stato”, da intendere come imparzialità, decoro, “disciplina ed onore” [articolo  54 della Costituzione] nell’esercizio di funzioni pubbliche ad ogni livello. Senso dello Stato che, oggi in Italia, difetta in molti rappresentanti delle istituzioni.

Nicola Bruni