Quando al Sud arrivò la “Provvidenza Sociale”

Ricordo le vacanze estive che da bambino, proveniente da Roma, trascorrevo in Calabria, a Dasà, paese di origine di mio padre, nei primi anni ’50: non c’era l’acqua corrente nelle case, e bisognava rifornirsi alla fontana pubblica con anfore di argilla; non c’era la rete fognaria, e i bisogni si facevano in un vaso, che di notte qualcuno della famiglia doveva andare a svuotare nel torrente che costeggia il paese; per lavare i panni le donne si recavano ad un lavatoio pubblico dove scorreva un ruscello; le masserie di campagna non avevano la luce elettrica. 

Le strade provinciali erano in terra battuta; quelle del paese, malamente lastricate. Le automobili costituivano una rarità. I trasporti pubblici, quasi inesistenti: una sola corsa al giorno del “postale” per e da Vibo Valentia. 
Una gran parte degli abitanti camminavano scalzi. Nei bassi di alcune abitazioni, all’interno del paese, si allevavano galline e persino maiali. Molti vivevano in miseria, e chi poteva emigrava.

L’analfabetismo era diffuso, specialmente tra le donne. A Dasà c’era solo una scuola elementare, e chi tra i maschietti voleva proseguire gli studi doveva fingersi aspirante prete per farsi accogliere gratuitamente come seminarista in un collegio religioso di città. Per le ragazzine, niente più.

Ricordo anche quando, nel 1958, per i contadini anziani arrivò, dal Governo di Roma, la pensione della “Provvidenza Sociale” (come tuttora alcuni ottuagenari del posto chiamano l’Inps), e fu festa per tante famiglie. Con quella Provvidenza cominciò ad arrivare anche la modernità.

Oggi, in quel paesino è tutta un’altra vita, sebbene ci siano ancora tanti problemi. Solo chi ha fatto l’esperienza di quei tempi può capire quali progressi siano stati compiuti dal Sud d’Italia negli ultimi 60 anni.

Come si è avviato un così grande cambiamento, ce lo ricorda il libro di Vincenzo Scotti e Sergio Zoppi “Non fu un miracolo – L’Italia e il Meridionalismo negli anni di Giulio Pastore e Gabriele Pescatore” (ed. Eurilink).

Nel volume si argomenta, appunto, che non fu un miracolo il “Miracolo economico” degli anni ’60, durante i quali l’Italia giunse a classificarsi come la quinta potenza economica mondiale, ma il frutto di una buona politica ampiamente compartecipata, dotata di un progetto organico di lungo respiro, concepita e attuata da una classe dirigente di altissimo livello.

Gli autori si soffermano in particolare sul ruolo importantissimo svolto dalla Cassa per il Mezzogiorno, ente di diritto pubblico istituito da De Gasperi nel 1950 con una rilevante dotazione finanziaria, che tra il 1950 e il 1970 ridusse del 10 per cento il divario tra Nord e Sud d’Italia, realizzando nelle regioni meridionali (inclusi Abruzzo, Molise e parte del Lazio), in Sicilia e in Sardegna soprattutto strade, ponti, ferrovie, porti, scuole, ospedali, bonifiche idrauliche, canali di irrigazione, argini, dighe, acquedotti, fognature, reti elettriche e telefoniche, e impiantandovi una serie di poli di sviluppo industriale, di pari passo con la riforma agraria, il piano Fanfani per l’edilizia popolare, la riforma tributaria Vanoni, la liberalizzazione degli scambi commerciali (Mercato Comune Europeo), l’introduzione della scuola media unica e obbligatoria, il diritto a pensione per i contadini, gli artigiani e i commercianti.

Il declino, a giudizio di Scotti, ebbe inizio negli anni ’70, quando, con l’istituzione delle Regioni, la Questione meridionale fu accantonata dalla politica nazionale e le risorse destinate al Sud non furono più gestite con la stessa efficacia del decennio 1958-1968 in cui Giulio Pastore (l’operaio autodidatta che aveva fondato la Cisl) fu ministro per il Mezzogiorno e fece della “Cassa”, presieduta da Gabriele Pescatore, un modello da imitare per la pubblica amministrazione.

Nicola Bruni


Nella foto, una scena del film “La terra trema” (1948) del regista Luchino Visconti, ambientato ad Aci Trezza in Sicilia.