Grecia 1964, che notte quella notte

Ho ripescato dal mio archivio un vecchio taccuino con la cronaca di un viaggio avventuroso in Grecia che feci da solo nell’estate del 1964. Allora avevo 22 anni, ero studente di Lettere all’Università di Roma e lavoravo come giornalista per un settimanale. 

“Vada a Idra di sabato – mi aveva consigliato il portiere dell’albergo di Patrasso –: è l’isola oggi di moda tra la ‘gioventù dorata’ di Atene”. Ci arrivo un sabato sera con un vaporetto partito tre ore prima dal Pireo. 

Idra è un’isola montuosa che vive di pesca e di turismo. Qui gli unici mezzi di trasporto sono le barche e gli asini. Non vi è neppure una macchina per mancanza di strade, e in molte case manca la corrente elettrica. Il luogo è però uno dei più pittoreschi della Grecia. Il paese si erge ad anfiteatro su un’altura che domina la piccola baia con il porto. Qui una dozzina tra yacht e velieri sono allineati lungo il molo.

C’è il “tutto esaurito” negli hotel e nelle pensioni di Idra, e l’azienda turistica fa quello che può per sistemare gli ospiti stranieri giunti, come me, senza prenotazione. Bisogna accontentarsi di un alloggio di fortuna nel piccolo sobborgo di Kamini. Fa da guida un pescatore del luogo. Salgo, con quattro ragazzi americani, su una barchetta a motore che si avvia scoppiettando azionata da una cordicella.

Ci allontaniamo dal porto, costeggiando una sporgenza rocciosa. Finalmente compaiono le luci di alcune case. C’è una piccola insenatura e la barca va ad infilarsi in mezzo ad altre due. Il conducente la lega ad un grosso bastone e saltiamo a terra. Due dracme a testa per il suo disturbo e l’omino ci affida a una donnetta sulla quarantina, che ci fa cenno di seguirla. 

Kamini è un villaggio di pescatori, poche decine di case che dal mare si arrampicano su un pendio. Qui tutto è tranquillo, qualche segno di animazione si nota in una taverna illuminata vicino al porticciolo. Per il resto le stradine sono deserte. Imbocchiamo un vicoletto tortuoso in salita e, superando due scalinate, raggiungiamo il cancello di una villetta. La nostra guida tira la corda di una campanella. La padrona di casa viene ad aprire in camicia da notte, con un lume a petrolio in mano. Si è dovuta alzare dal letto, ma sembra contenta di ricevere ospiti. 

Passiamo per un giardinetto. La casa è senza luce elettrica, ma in compenso è pittoresca, pulita e arredata con gusto. Saliamo al piano di sopra per una scala di legno dipinta di rosso, il pavimento è celeste, le pareti sono bianche con zoccolatura gialla e le finestre blu. Il soffitto mostra le travature, e in un angolo della stanza c’è un caminetto. Dalla finestra che dà sul giardino si vede il porticciolo con le barche dei pescatori e i taxi acquatici che vanno e vengono.

La signora supplisce con gesti e con sorrisi alla sua incapacità di spiegarsi a parole. Poi ci indica i letti: sono tre in tutto, mentre noi siamo in cinque. Capiamo che due di noi dovranno coricarsi su materassi distesi a terra. Poco male: nessuno di noi ha voglia di dormire.

Sono le ore 23. Lasciamo nella casa i nostri zaini e, dopo aver rifatto all’indietro la stessa strada, prendiamo un altro taxi acquatico e torniamo a Idra, alla ricerca di qualche divertimento. 

Dai night club disseminati sul lungomare viene l’eco del buzuki – un ritmo che fa furore in Grecia quest’anno – e la voce un po’ rauca del cantante nazionale Casagidis.

In uno di questi locali, che mi è stato indicato come un ritrovo di artisti, si mangia qualcosa, si beve uzo, un liquore all’anice, e si ascolta la musica di un juke-box, mentre alcune coppie ballano in una romantica penombra. 

Attacco a parlare con una ragazza francese, Gisèle, seduta vicino a me. Studia architettura a Parigi e le piace dipingere. La sua è quasi una “vacanza di lavoro” come pittrice. Mi racconta che in quest’isola si danno convegno artisti di vari paesi, e si è costituita una piccola colonia internazionale che ha qui i suoi luoghi di ritrovo. Converso e ballo con lei fino a notte fonda. Poi andiamo insieme ad ammirare l’alba sul mare. Infine, ci salutiamo con due “bisous” sulle guance. 

Torno alla villetta ai primi chiarori del mattino. Apro il cancello e la porta con le chiavi che mi sono state date e raggiungo la camera da letto. I miei compagni americani sono immersi nel sonno. Scopro con piacere che mi hanno lasciato libera una delle tre brande. Mi distendo anch’io e mi dico: “Buona notte! Anzi, buon giorno!”.

Nicola Bruni