La finestra su Via Gallia

Sono andato a fotografare la finestra al nono piano – il penultimo, colonna di sinistra – del mio palazzo di Via Licia 54 a Roma, dalla quale mi affacciavo su Via Gallia da bambino negli anni del dopoguerra. Compare in fondo al vialetto del numero civico 96, della grande arteria che va da Piazza Tuscolo a Porta Metronia. A quei tempi, davanti, non c’era l’attuale alto edificio, ma un villino basso, che consentiva un’ampia visuale fino alle statue poste in cima alla facciata della Basilica di San Giovanni in Laterano. 

Quel villino ospitava una scuola mista privata comprendente l’asilo infantile e la “preparatoria” per l’ammissione alla seconda elementare con esame di idoneità dopo il compimento dei sei anni. A gestirla c’era un’arcigna Maestra Gravina, che conduceva spesso i suoi scolaretti sulla terrazza, dove li faceva “filare” con strilli e bacchettate sotto i miei occhi. Mia madre iscrisse alla preparatoria anche me, quando avevo cinque anni, ma dopo due giorni, terrorizzato da quella maestra, non volli andarci più. Resisté, invece, mia sorella Mariuccia, di 20 mesi più piccola, che così saltò un anno di scuola statale.

Dalla finestra dell’appartamentino di due camere in affitto dove ero nato nell’ottobre 1941, osservavo il passaggio per Via Gallia delle persone, del tram 18 e di uno scarso traffico di automobili, camion, camioncini, carretti con cavallo, carrettini a mano e biciclette. Si vedeva anche la traversa di Via Elea, strada sbarrata da tre colonnine di travertino, che erano il punto di ritrovo di alcuni ragazzi.

Ogni tanto, ero richiamato dal grido di uno “stracciarolo”, o di un “ombrellaio – ombrelli accomodare”, o di un “arrotino”, o dal suono di un pianino a manovella con le ruote, spinto da un poveraccio che chiedeva l’elemosina. Talvolta passava un corteo funebre, diretto alla chiesa della Natività, con una carrozza nera in stile barocco trainata da due, quattro o sei cavalli neri con pennacchi, e un seguito di persone in lutto.

La sera del 4 giugno 1944 vidi passare i carri armati degli americani che liberavano Roma dall’occupazione tedesca, prima di scendere in strada in braccio a papà per fare festa ai “liberatori”.

Ricordo che nel 1948, dopo aver appreso che era stato eletto un certo Einaudi come primo Presidente della Repubblica, mi appostai a lungo a quella finestra sperando di vederlo passare “in audi” – come mi suggeriva il suo nome -, ovvero in auto scoperta, per Via Gallia.

Sul lato opposto della strada c’era un altro villino, sulla cui terrazza la mia mamma aveva collocato un immaginario e invisibile spauracchio per noi tre figli piccoli: un mostro di nome Mano Pelosa, che, se sentiva dei bambini litigare, allungava una mano gigantesca per rapirli. La mamma diceva di averlo visto, ma noi dubitavamo e, distraendoci, smettevamo di litigare.

Nicola Bruni