1943 – Il Codice di Camaldoli

Mancava una settimana alla caduta del regime fascista, quando – il 18 luglio 1943 – cinquanta intellettuali cattolici, formatisi nella Fuci (la federazione degli universitari cattolici) e nel Movimento laureati dell’Azione cattolica, dettero inizio ad uno speciale “ritiro” presso il monastero di Camaldoli, in provincia di Arezzo. Tra i partecipanti, Ezio Vanoni, Giorgio La Pira, Paolo Emilio Taviani, Guido Gonella, Vittorino Veronese, Sergio Paronetto, Angela Gotelli, Giuseppe Capograssi, Gesualdo Nosengo. 

In sei giorni, stilarono un programma per la rinascita dell’Italia dalle macerie della guerra e della dittatura. Vi si prefigurava un modello di Stato che persegue la “giustizia sociale”, come “concreta espressione del bene comune”, nella libertà e nella democrazia, e che quindi interviene per regolare l’economia di mercato, realizzare una più equa distribuzione dei beni, rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, rendere effettiva l’uguaglianza fra i cittadini, sostenere la famiglia.

Il documento, noto come “Codice di Camaldoli”, successivamente ampliato (con l’apporto di Pasquale Saraceno) e pubblicato nel 1945, avrebbe poi influenzato la scrittura della Costituzione e le scelte di politica economica e sociale della Democrazia Cristiana nei primi decenni di governo (riforma agraria, riforma tributaria Vanoni, Cassa del Mezzogiorno, costruzione di case popolari, pensioni anche ai lavoratori autonomi, pensioni sociali, scuola per tutti, partecipazioni statali nell’industria per lo sviluppo e l’occupazione, contratti collettivi di lavoro, Statuto dei lavoratori, Cassa integrazione, sostegno ai disabili, tutela delle lavoratrici madri).

Altra importante anticipazione: il Codice di Camaldoli affermava il diritto all’obiezione di coscienza contro leggi ingiuste. Allora, in Italia, ce n’erano tante.

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POST SCRIPTUM 

Del Codice di Camaldoli, così importante per la storia della democrazia italiana, io sentii parlare per la prima volta quando avevo 15 anni, nell’estate del 1957, partecipando ad un corso residenziale di formazione politica organizzato dal Movimento Giovanile della DC, nella scuola di partito della Camilluccia a Roma. 

A quel tempo la Democrazia Cristiana curava molto la formazione politica dei suoi “quadri”. Non a caso, a distanza di quasi tre decenni dallo scioglimento di quel partito, abbiamo come Capo dello Stato un democristiano di grande cultura e saggezza politica nella persona di Sergio Mattarella, mio coetaneo del 1941. 

Di quei 50 intellettuali che redassero il Codice di Camaldoli, una gran parte poi divennero classe dirigente della DC e della Repubblica democratica. Ho avuto la fortuna di conoscere di persona quattro di loro – La Pira, Taviani, Gonella e Nosengo – e di ascoltare dal vivo l’esposizione dei loro ideali.

Perché, oggi, il Codice di Camaldoli è sconosciuto anche a persone di buona cultura? Perché è stata emessa di fatto – non si sa da chi – una sentenza di “damnatio memoriae” (condanna all’oblio o cancellazione del ricordo) dei grandi meriti storici della Democrazia Cristiana. Una sentenza che, per convinzione o per conformismo, viene rigorosamente applicata dai gestori del pensiero dominante nei mass media e da quasi tutta la classe politica del nostro Paese, compresi ex democristiani come Matteo Renzi ed Enrico Letta, i quali sembra vogliano nascondere il loro passato nella DC. Fa eccezione il presidente Mattarella, il quale non perde occasione per celebrare, nelle ricorrenze anniversarie, i meriti di grandi personalità democristiane, come quelli di esponenti di altri partiti.

Nicola Bruni