Furono “resistenti” i miei genitori

Per essere “resistenti” contro il nazifascismo, tra il 1943 e il 1945, non era necessario imbracciare il fucile. I terrificanti proclami tedeschi minacciavano la fucilazione immediata e la distruzione della casa per chiunque avesse sfamato un soldato alleato, nascosto un renitente alla leva, aiutato un ebreo, sostenuto una banda partigiana. E i nazisti passavano spietatamente dalle parole ai fatti, senza fermarsi davanti a donne, bambini e anziani inermi. 

Perciò, chiunque, allora, sfidò la morte con coraggio e abnegazione merita pienamente la qualifica di resistente.

Questo concetto è stato ribadito dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella cerimonia di rievocazione del massacro di 244 di abitanti di Civitella in Val di Chiana (Arezzo) perpetrato dalle truppe tedesche il 29 giugno 1944.

Dunque, la qualifica di “resistenti” spetta anche ai miei genitori, Peppino Bruni e Stella Cesarelli, i quali a Roma nella nostra casa di Via Licia 54 tenevano nascosti due parenti calabresi ventenni, Felice Cannatello e Nicola Scopacasa, renitenti alla leva della Repubblica nazifascista di Salò, proprio nel momento in cui – il 29 gennaio 1944 – gli agenti delle SS fecero irruzione nel nostro palazzo per arrestare il professor Gioacchino Gesmundo, partigiano sabotatore (poi fucilato alle Fosse Ardeatine), che abitava al piano di sopra. Se avessero perquisito il nostro appartamento, anche per noi (io avevo due anni) sarebbe stata la fine.

Mio padre, inoltre, è stato un “resistente” anche ad altro titolo, perché, da maresciallo dell’Esercito in servizio al Ministero della Guerra, si era già rifiutato di giurare fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana di Mussolini, ed era stato licenziato in tronco senza assegni. 

Per sua fortuna, i tedeschi non si misero a cercarlo, e non fu deportato in Germania come capitò ad oltre 600mila militari italiani fatti prigionieri dai nazisti perché “resistenti” dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, e che furono decimati dalle malattie e dagli stenti nei campi di concentramento in Germania.

Nicola Bruni

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In questa foto, scattata a Roma il 24 agosto 1943 (10 giorni prima dell’Armistizio e dell’inizio dell’occupazione tedesca), io sono con i miei genitori, Stella e Peppino (che allora avevano 36 anni), e la sorellina Mariuccia, nata 47 giorni prima.

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