Viaggio sul bus 87

Salgo sull’autobus 87 a Roma, alle 9,10 del mattino, dopo averlo atteso per circa 20 minuti in Via Crivellucci (nella foto), quartiere Appio Latino. Sono diretto a Piazza Cavour. Devo andare a ritirare un documento dallo studio di un notaio. L’autobus fa un lungo giro e impiega un quarto d’ora per arrivare in Piazza di Porta San Giovanni. 

Qui comincia un vero e proprio itinerario turistico nel centro storico, che consente al viaggiatore interessato di vedere la Porta Asinaria delle Mura Aureliane, il mosaico absidale dell’antico Patriarchio che custodisce la Scala Santa, la facciata anteriore e quella posteriore della Basilica di San Giovanni in Laterano, l’obelisco egizio di Piazza Giovanni Paolo II, la sagoma ottagonale del Battistero; e poi il Colosseo, i Fori Imperiali, il Vittoriano, Palazzo Venezia, la Chiesa del Gesù, l’Area Sacra di Largo Argentina dove fu assassinato Giulio Cesare, la facciata barocca di Sant’Andrea della Valle, un tratto del Tevere e infine il Palazzo di Giustizia in Piazza Cavour. Qui sbarco poco prima delle 10.

Durante questa lunga traversata della città, la mia attenzione è attratta, più che dai monumenti, da una distinta signora di circa 45 anni venuta a sedersi di fronte a me. Mi metto ad osservarla e a “studiarla”, fingendo di guardare altrove. Mora, leggermente abbronzata, capelli lisci ben pettinati, indossa una veste blu, corta, accollata sul davanti e sbracciata, che le lascia scoperta tutta la schiena e le gambe dalle ginocchia. In viso non è propriamente bella, ma ne ammiro i lineamenti signorili e un corpo armonioso, con spalle, braccia e mani ben modellate. Niente trucco, niente rossetto sulle labbra, niente smalto sulle unghie, nessun tatuaggio sulla pelle. All’anulare sinistro, una luccicante fede nuziale. Dunque, un’eleganza sobria da persona di buon gusto.

Ogni tanto, la giovane signora tira fuori da una borsa blu in pelle una scatola di plastica, dalla quale estrae qualche chicco di uva bianca, che infila in bocca.

A un certo punto, squilla il suo telefono, e lei risponde illuminandosi in un sorriso dolcissimo. Non intendo le sue parole, pronunciate sottovoce in una lingua straniera, ma vi riconosco un’intonazione brasiliana. 

Poi, la signora si alza e scende dall’autobus, alla fermata di Piazza delle Cinque Lune, in fondo a Corso del Rinascimento. La vedo entrare in una rosticceria. Ne deduco che vada ad acquistarvi il cibo per il pranzo, da portare in ufficio. E suppongo che il suo ufficio potrebbe essere l’ambasciata del Brasile, a due passi da lì, in Piazza Navona.

Nicola Bruni