Maturità 1960: un esame da incubo

Era semplicemente mostruoso, l’esame di maturità classica alla fine degli anni ’50 del secolo scorso: quattro prove scritte (tema d’italiano, versione dal latino, versione in latino, versione dal greco) preliminari per l’ammissione agli orali, interrogazioni su otto materie e prova pratica di educazione fisica (con il salto della cavallina), davanti a una commissione formata da esaminatori sconosciuti, tranne un docente interno, che fungeva da avvocato difensore. 

Ma per il ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Medici, uomo all’antica con ghette bianche sulle scarpe, l’esame conclusivo degli studi secondari superiori non era ancora abbastanza impegnativo, e nell’ottobre del 1959 pensò bene di triplicarne i contenuti, aggiungendovi ai programmi dell’ultimo anno quelli del penultimo e del terzultimo. 

Gli studenti insorsero in tutta Italia. L’Unione Romana Studenti Medi, di cui ero presidente, indisse uno sciopero e manifestazioni di protesta che cinsero d’assedio il Ministero della Pubblica Istruzione, ottenendo grande risalto sui giornali. 

Dopo una settimana di scuole in subbuglio, da Nord a Sud del Paese, il ministro Medici addivenne a più miti consigli: ricevette nel suo ufficio di Viale Trastevere una delegazione degli istituti romani, da me guidata, e ci propose un compromesso. 

Una nuova ordinanza avrebbe limitato i riferimenti ai programmi degli anni precedenti, riducendoli ad un elenco di argomenti scelti da ciascun consiglio di classe; inoltre, avrebbe ribadito il principio che le commissioni esaminatrici dovessero accertare la maturità dei giovani candidati e la loro preparazione culturale-professionale, e non tanto la conoscenza di “nozioni mnemoniche non coordinate in un sistema razionalmente posseduto”.

Ci riservammo di esaminare la proposta, dopo averne discusso tra di noi. Seguì un’assemblea degli studenti romani al liceo Tasso, che la approvò a maggioranza. A quel punto, si alzò un noto attivista di estrema destra, Stefano Delle Chiaie (poi coinvolto in oscure trame eversive), opponendo che lui non accettava il metodo democratico delle decisioni a maggioranza. 

Io, che presiedevo l’assemblea, capii che quello voleva creare un incidente, e sciolsi subito la riunione.  

Poi, agli esami orali del luglio 1960 nel liceo Augusto di Roma, a me toccò di dover rispondere sul Machiavelli, autore del penultimo anno, che mi era ben noto perché… il giornalino di istituto Augustus, da me diretto, gli aveva dedicato una gustosa parodia sul “Principe-Professore di manica stretta“.

Nicola Bruni

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Ammesso con 7 in italiano, rischiai la bocciatura per colpa di Napoleone

Commisi una grossa imprudenza ai miei esami di maturità classica del 1960, al liceo Augusto di Roma: scelsi il tema di argomento storico su Napoleone e ne stroncai il mito, osando anche criticare la famosa ode celebrativa “Il cinque maggio” di Alessandro Manzoni.

Mal me ne incolse! Il commissario esterno di italiano, un anziano professore in pensione, si adirò contro di me come se avessi bestemmiato.

Mi giudicò uno screanzato che non ha rispetto per i grandi nomi della storia e della letteratura. Avrebbe voluto rimandarmi a ottobre, benché non avesse potuto segnare neppure un errore “blu” nel mio elaborato.

Dovette, però, piegarsi in sede di scrutinio di fronte alle referenze del mio curriculum scolastico: ero stato ammesso agli esami con 7 in italiano, dal mio professore di “manica stretta”; ero sempre stato promosso a giugno negli anni precedenti; mi era stato recentemente conferito il primo premio letterario in un concorso bandito dal Rotary Club tra gli studenti dei licei di Roma; e avevo diretto per tre anni il giornalino d’istituto Augustus, pubblicandovi editoriali formalmente impeccabili.

Quel 6 stiracchiato in italiano che mi ritrovai nella pagella degli esami, dapprima ferì il mio orgoglio di aspirante letterato e giornalista; ma poi, a ripensarci bene, lo rivalutai come una medaglia al valore, meritata per aver avuto il coraggio di sfidare, con le mie idee antibonapartiste di libertà e di rifiuto della guerra, una repressione autoritaria, a soli 15 anni dalla fine della dittatura fascista.

Nicola Bruni