Ci vuole “pacienza”

Ricordo che un giorno, di tanti anni fa, entrai nell’ascensore del ministero della Pubblica Istruzione a Roma con un anziano professore napoletano, diretto al terzo piano. Ma l’ascensore, invece di salire, scese a -1, poi risalì e si fermò al piano terra, quindi al primo piano, ancora al secondo e, solo dopo un lento tran-tran di apri e chiudi, arrivò al terzo. Ad ogni fermata inopportuna, il mio compagno di viaggio commentava: “Ci vuole pacienza”. Lo ripeté quattro volte, con un sorrisetto di rassegnazione.

L’episodio mi è rimasto impresso, e mi ha fatto riflettere che avere pazienza è un habitus mentale di saggezza, che aiuta chi ce l’ha a sopportare contrarietà e inconvenienti della vita quotidiana, a mantenere la calma, a migliorare le relazioni interpersonali, a realizzare una buona convivenza in famiglia, a scuola e nei luoghi di lavoro: insomma, a vivere più serenamente.

La pazienza è una virtù che spesso si acquisisce con il crescere dell’età e con l’esperienza dei rapporti umani. Infatti, i nonni hanno generalmente più pazienza, e sono più accomodanti, con i bambini, di quanto lo siano i genitori.

Ed è una virtù indispensabile agli insegnanti che vogliano essere anche educatori dei propri alunni, poiché debbono sopportare, ignorare o perdonare molte piccole provocazioni e canzonature.

Esempio: “Prof, alcuni ragazzi imitano la sua voce per prenderla in giro”. “Pazienza!”.

Nicola Bruni

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Nella foto, dell’anno scolastico 1993/94, io sto interrogando alcuni alunni nella scuola media Quinto Ennio di Roma.