Balia, lavandaia, lustrascarpe e altri mestieri scomparsi

C’erano una volta i “figli della balia”. Erano chiamati così, fino alla metà del secolo scorso, i bambini allattati in tenera età da una donna diversa dalla propria mamma. Il “baliatico” è una delle professioni estinte negli ultimi decenni, che veniva esercitata da puerpere povere ma ben fornite di latte. Le balie provvedevano a nutrire, oltre al proprio bambino, anche un figlio di “signori”. L’esercizio della professione era regolamentato da una legge che prevedeva il rilascio di un’autorizzazione da parte del Comune, previo un controllo sanitario.

Con la scomparsa dei “figli delle balie” sono venuti meno anche la figura e il legame affettivo dei “fratelli di latte”, figli di mamme diverse ma che avevano ciucciato nei primi mesi dallo stesso seno.Chi come me ha “una certa” (età), ricorda anche altri mestieri scomparsi: la levatrice (ostetrica) a domicilio, la lavandaia, il carrettiere, il mondezzaro, lo spazzacamino, il lustrascarpe, lo stracciarolo, lo strillone di giornali, lo scaricatore di lastre di ghiaccio (per le ghiacciaie che anticipavano i frigoriferi), il fusaiaro (venditore di lupini), il venditore di bruscolini, il caramellaro ambulante.

Altri mestieri hanno cambiato nome e modalità di esercizio: per esempio, quello della tata o bambinaia, diventata baby sitter; quelli del droghiere, del lattaio, del vinaio. Altri sono in via di estinzione, come l’arrotino, l’ombrellaio riparatore di ombrelli, il calzolaio riparatore di scarpe.

Alcune di queste attività lavorative mi richiamano alla mente lontani eventi della mia vita: quello della levatrice, che il 26 ottobre del 1941 mi tirò fuori dalla pancia della mamma, in casa a Roma; quello della lavandaia, una donna obesa di nome Fortunata che veniva a lavare i panni della nostra famiglia e i miei pannolini di stoffa, nel lavatoio della terrazza all’undicesimo piano; quello del riparatore di ombrelli, che era diventato il mio spauracchio poiché il suo grido “ombrellaio”, mal percepito in casa, mi veniva riferito dalla mamma come “bambinaio”, nel senso di rapitore di bambini capricciosi; il caramellaro, mestiere che una notte il mio papà si sognò di esercitare gridando “Caramelle di menta!”, e per questo fu canzonato in famiglia.

Nicola Bruni

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Nelle foto, balie e tate della prima metà del Novecento, dalla mostra fotografica “Familia” allestita al Vittoriano di Roma nel 2009.