Da bambino rimasi sconvolto nell’apprendere che…

“Chi ti ha creato?” era la principale domanda che veniva rivolta a noi bambini del catechismo negli anni tra il 1948 e il 1951. “Mi ha creato Dio”, la risposta che ci era stata insegnata e della quale io ero profondamente convinto. A “Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili”, io dovevo la mia esistenza, mentre i miei genitori erano stati gli strumenti per mezzo dei quali Dio mi aveva fatto nascere creando la mia anima.

   Come avevano fatto papà e mamma a concepirmi, con il loro “amore”, non mi veniva spiegato, nella parrocchia romana della Natività. Io pensavo che ciò avvenisse attraverso un’infusione di amore spirituale. Perciò, rimasi sconvolto quando un mio compagno più grandicello e “scafato” mi rivelò che la mia procreazione era stata il frutto di una “zozzeria” che mamma aveva fatto con papà. 

   A quei tempi, parlare di sesso in famiglia, a scuola e al catechismo era un tabù. A noi bambini ci si limitava ad insegnare che il sesto comandamento vietava di “commettere atti impuri”, nel senso di “atti sessuali”, le cosiddette “zozzerie”, e io non avevo capito che quegli atti erano ammessi e benedetti nell’ambito del matrimonio.

   Dai discorsi che facevano alcuni miei compagni, avevo appreso che erano “donnacce” quelle che si facevano mettere il “pisello” di un uomo nel buchetto della pipì. Dunque, anche la mia mamma, che io consideravo una santa, si era comportata come una “donnaccia” per farmi nascere! 

   Mi ci volle un bel po’ per riprendermi dal turbamento, anche perché non ebbi il coraggio di parlarne con la mamma o con altra persona adulta. Poi, me ne feci una ragione deducendo, da solo, che l’unione sessuale tra marito e moglie nel matrimonio è voluta da Dio e non costituisce un “atto impuro”. E quando, molti anni dopo, mi sposai con Elina, potei anche verificare quale fonte di grazia e di felicità fosse l’unione coniugale.

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A PROPOSITO

Ricordo una canzoncina in dialetto romanesco che cantava Gigi Proietti, mio amico di gioventù, ai tempi in cui era studente del liceo Augusto di Roma, accompagnandosi con la chitarra. Narrava la storiella di un “regazzino de Porta Metronia” che “le caccole dar naso se levava, in un barattoletto le metteva, e poi cor sugo se le cucinava”. Un giorno quel “regazzino” domandò alla mamma come aveva fatto a nascere e, alla risposta che lo aveva portato la cicogna, ribatté malizioso: “O me canzoni, oppure tu e papà nun sete boni”.

Nicola Bruni