Mamma Stella, detta Stellina

Il nome della mia mamma (1907-1984) era Stella, ma la chiamavano Stellina. Un giorno, a Roma, la commessa di un negozio, sentendo che il mio papà si rivolgeva a lei con quell’appellativo, le disse: “Com’è affettuoso suo marito, che la chiama stellina!”. Al che, lei rispose: “Sì, è affettuoso, ma Stellina è il mio nome”.

    Nata ad Arena, un antico borgo collinare delle Serre Calabre, da una ricca famiglia di proprietari terrieri, era rimasta orfana della mamma all’età di tre anni.

    Suo padre, Antonio Cesarelli, che aveva anche altri due figli, Terenzio e Teresina, decise di risposarsi, e dal nuovo matrimonio nacquero Anna e Maria. Abitavano in un palazzo a due piani con molte stanze, dove era alloggiata anche la servitù, composta da un gruppo di ragazze poverissime che in quella casa trovavano da mangiare in abbondanza.

    I Cesarelli erano generosi nella distribuzione di derrate agricole ai compaesani che andavano a chiedere un aiuto. Una volta si presentò a casa una bambina con due bottiglie ordinando, come se fosse andata in un negozio: “Dissi mama: cca l’uogghiu (l’olio) e cca lu vinu”.

    Stellina non ebbe dal padre il permesso di frequentare la scuola pubblica, come avrebbe fortemente desiderato, e dovette accontentarsi di un’istruzione impartita da precettori privati. Raccontava di una sua coetanea, figlia di contadini, che alla scuola elementare aveva imparato a memoria questi versi di un’aulica poesia: “Quando mi assido la sera a pranzo, prendo il coltello, tagliuzzo il manzo”. Ma lei, che non capiva il manzo, l’aveva adattata a “tagliuzzo e il manzo”, nel senso di “lo mangio“.

    La condizione economica della famiglia precipitò quando, all’inizio degli anni ’30, fallì l’impresa di una centrale idroelettrica che mio nonno Antonio aveva impiantato ad Arena, perché non ci furono gli allacciamenti previsti con i paesi dei dintorni.

    Allora “Donna Stellina“, che intanto era diventata maggiorenne, s’inventò un lavoro di fotografa: allestì in casa uno studio fotografico, con le strumentazioni disponibili all’epoca, imparò il mestiere mediante un corso per corrispondenza, e si mise a fare soprattutto foto tessera per i passaporti degli emigranti e foto ricordo delle famiglie rimaste in paese da inviare ai congiunti emigrati oltre oceano.

    Ai suoi clienti più poveri, che non avevano neppure un vestito decente, lei prestava gli abiti e persino le scarpe, e li faceva apparire in fotografia quasi benestanti, migliorandone anche l’aspetto fisico con opportuni ritocchi.

    Un giorno del 1940, durante una festa patronale ad Arena, le fu presentato il mio futuro papà, Peppino Bruni (1907-1983), maresciallo dell’Esercito in servizio a Roma presso il Ministero della Guerra, che fruiva di una licenza. Lui – originario di Dasà, un paese vicino – era un giovane di bella presenza e dai modi garbati, lei una “signorina” affascinante: si piacquero, e Peppino le mandò, come si usava a quel tempo, una “ambasciata” con la proposta di matrimonio. Stellina accettò.

    Si sposarono nel santuario di San Francesco di Paola il 5 febbraio 1941, prima ancora di potersi scambiare in intimità un vero bacio, e cominciarono ad amarsi per tutta la vita.

    Poi andarono ad abitare a Roma, dove, da quella buona Stella, nell’arco di cinque anni nacquero tre figli: Nicola, Mariuccia e Antonio. Ed ebbe inizio un’altra storia.

Nicola Bruni

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 Nella foto, del 1967, mamma Stella Cesarelli quando aveva 60 anni.