Sembra che con il “sì” al “taglio dei parlamentari”, confermato dal referendum del 20-21 settembre 2020, sia stato risolto il problema più importante degli italiani, i quali dalla prossima legislatura risparmieranno ogni anno un euro di tasse a testa.
Tutti gli altri problemi del Paese vengono in secondo piano, perché adesso diventa prioritario tappare le falle che l’eliminazione di un terzo dei deputati e dei senatori ha introdotto nel nostro sistema politico-costituzionale: legge elettorale proporzionale (per contenere l’effetto ipermaggioritario delle elezioni delle Camere a ranghi ridotti), modifiche della Costituzione riguardo alle modalità di elezione del Presidente della Repubblica, riforma dei regolamenti parlamentari.
Domanda: queste “toppe” non potevano metterle prima del referendum? Risposta: perché fare prima quello che si può fare (o non fare) dopo?
Durante la campagna referendaria, molti hanno notato lo spreco delle decine di migliaia di cartelloni in lamiera installati in tutta Italia per la propaganda e che nessuno ha utilizzato, perché ormai la propaganda politica ha traslocato altrove. Bastava un piccolo emendamento legislativo per eliminarli, e nel corso di un quinquennio si sarebbe risparmiato molto di più del fatidico “taglio” sottoposto a referendum.
Ma ai politici “tagliatori” questo tagliuzzo terra terra non è venuto in mente, perché avevano altro da pensare: il loro vero obiettivo non era il risparmio in sé, ma la delegittimazione del Parlamento, descritto nella propaganda per il sì come un’accozzaglia di fannulloni da mandare, almeno in parte, “a casa”.
Ricordo che il movimento populista del “tutti a casa” (di quelli che vogliono chiudere il Parlamento perché lo ritengono inutile o superato), che ha dato un grosso contributo alla vittoria del “sì”, trae origine dal Vaffa Day dell’8 settembre 2007, in cui il capocomico Beppe Grillo fondò il partito a “5 Stelle” insieme con quel Gianroberto Casaleggio che teorizzò la sostituzione del Parlamento con la democrazia diretta basata sui clic in una “piattaforma” digitale riservata.
Non è un caso che dopo questo referendum lo stesso Grillo sia tornato alla carica con l’idea balzana di sostituire ilParlamento democraticamente eletto con votazioni popolari su ogni legge da tenersi per via telematica. A parte la macchinosità, altamente costosa, di un sistema di referendum a getto continuo, c’è da chiedere al Grillo sparlante in quale organismo democratico le leggi verrebbero proposte e discusse articolo per articolo, comma per comma, con la messa a confronto di opinioni diverse, visto che al popolo non resterebbe che approvare o bocciare in blocco ogni proposta si legge senza possibilità di modifiche.
Ecco confermato dove va a parare, almeno nelle intenzioni di Grillo, il “taglio dei parlamentari” voluto dal M5S.
Ebbene, il sì ha vinto, ma con una “vittoria mutilata”. Nel referendum, la legge sul “taglio” è stata approvata dal 69,64 per cento dei votanti sul territorio nazionale, che sono stati poco più della metà (53,84 per cento) degli aventi diritto, e dal 69,96 per cento di tutti i votanti, compresi gli italiani all’estero, pari al 51,12 per cento dell’intero corpo elettorale.
Ma alla Camera, nell’ultima votazione, era passata con il 97 per cento dei presenti, di tutti i partiti maggiori: partiti che, con il “no” al 30 per cento, sono stati sconfessati da più di un quarto dei rispettivi elettorati di riferimento.
Se si tiene conto anche delle schede bianche e nulle, sulla base dei dati ufficiali del ministero dell’Interno, i risultati in percentuali del referendum sono questi: 48,88% astenuti, 33,16% sì, 15,11% no, 0,42% schede bianche, 0,43% schede nulle.
Questo significa, anche, che quella contrastata modifica della Costituzione non è stata votata da due terzi degli elettori italiani, perché non ne sentivano il bisogno. Ma che quasi la metà non abbia votato è anche un preoccupante segnale di disaffezione nei confronti della politica e della democrazia.
In conclusione, con questa vittoria del sì, i populisti vincitori non manderanno a casa nessuno di quelli che contano nei partiti maggiori, i quali si apprestano a fare una nuova legge elettorale mantenendo le vecchie liste bloccate, per poter continuare a decidere chi far eleggere in Parlamento e consolidare così il proprio potere.
Nicola Bruni