L’Italia non si allineerebbe agli altri Paesi europei – come sostengono i tagliatori di seggi – ma scenderebbe all’ultimo posto, se vincesse il sì al referendum sulla legge di modifica della Costituzione che riduce da 630 a 400 il numero dei deputati e da 315 a 200 il numero dei senatori elettivi.
Infatti, il numero medio di abitanti per deputato in Italia passerebbe da 96.006 a 151.210, il più elevato tra tutti gli Stati membri dell’Unione Europea (e Regno Unito), e l’Italia finirebbe ultima in classifica con un rapporto di 0,7 deputati per 100.000 abitanti, dopo la Spagna (0,8).
Il numero medio di abitanti per ciascun senatore crescerebbe da 188.424 a 302.420, con alcune distorsioni nei rapporti proporzionali tra le regioni, a vantaggio di Valle d’Aosta (126.806), Molise (156.830), Trentino-Alto Adige (171.579) e Basilicata (192.678).
Peraltro, è scorretto sommare il numero dei deputati con quello dei senatori nel fare il confronto dell’Italia con gli altri Paesi, perché Camera e Senato lavorano separatamente.
Così pure è scorretto non tenere conto del rapporto tra eletti e abitanti, come fa la propaganda dei soliti “tagliatori di seggi”: ebbene, secondo una classifica stilata dai Servizi studi di Camera e Senato, l’Italia, con i suoi 945 parlamentari attuali (tra deputati e senatori) si colloca non al primo ma al 22° posto tra gli Stati membri dell’Ue con un rapporto di 1,6 eletti ogni 100mila abitanti, seguita con indici più bassi soltanto da Polonia, Francia, Paesi Bassi, Spagna e Germania.
La riduzione dei seggi, che in media nazionale sarebbe del 36,6 per cento per entrambi i rami del Parlamento, al Senato verrebbe applicata in maniera fortemente disomogenea su base regionale, con il 57,1 per cento di Basilicata e Umbria, il 42,9 di Abruzzo e Friuli-Venezia Giulia, e il 40 della Calabria, a fronte del 14,3 del Trentino-Alto Adige.
Altra conseguenza distorsiva del sistema politico, prodotta dall’elezione di un numero ridotto di deputati e ridottissimo di senatori, si avrebbe con la limitazione della contesa elettorale in diverse regioni (in particolare, Molise, Basilicata, Umbria, Abruzzo e Friuli-Venezia Giulia) a due, massimo tre, partiti, che introdurrebbe di fatto un sistema maggioritario, anche se non previsto dalla legge.
A ciò si aggiunga che il forte ampliamento dei collegi renderebbe più costose le campagne elettorali per i candidati, favorendo i politici più ricchi o che ricorrano a finanziamenti illegali, e provocando un ulteriore allontanamento degli eletti dagli elettori e dal territorio.
Infine, osservo che nell’acceso dibattito referendario in corso su Facebook i sostenitori del SI’ si dividono in due grandi categorie: quelli che vorrebbero tagliare le “poltrone” [benché alla Camera e al Senato non ci siano “poltrone” ma “scranni” con il sedile ribaltabile] per risparmiare sulla democrazia parlamentare, e quelli che invece vorrebbero mandare “tutti a casa” e chiudere il Parlamento, ritenendo che l’intera classe politica sia formata da corrotti e parassiti, per poi magari farsi governare da “un uomo solo al comando” come ai tempi di “quando c’era Lui”. Se vince il SI’, si intesteranno la vittoria anche questi nostalgici della dittatura.
Nicola Bruni