Il lungo pianto di Silvia, bambina cacciata da scuola perché ebrea

“Io sono andata per andare a scuola e non mi hanno voluto. Ci ho pianto tanto quella mattina, tanto, perché avevo tutte le compagne cattoliche, ci volevamo bene. Poi anche la maestra ci voleva bene… piangeva, e piangevamo noi bambini”, racconta la fanciullina ebrea Silvia Di Veroli, da una vecchia pagina di quaderno.

Piero Terracina ricorda: “Uscito dalla classe, andai a piangere dalla bidella”.
Luigi Sagi recrimina: “Gli altri scolari che erano con me in classe sparirono dalla circolazione; se mi incontravano per strada giravano la testa”.
E un foglio scritto a mano ci tramanda una lista di 59 studenti e studentesse espulsi dal Ginnasio-Liceo Petrarca di Trieste perché “di razza ebraica”.
Sono testimonianze di una storia infame, che ho tratto dalla mostra “Leggi razziali, una tragedia italiana”, allestita a Roma nel 2008 all’interno del Vittoriano.

In attuazione dei decreti “per la difesa della razza”, voluti da Mussolini e promulgati dal re Vittorio Emanuele III il 5 settembre 1938, tutti gli ebrei – allievi e insegnanti – furono cacciati dalle scuole pubbliche, dalle università, dalle accademie e dai conservatori.
Solo in alcune città fu concessa l’apertura di speciali sezioni di scuola elementare per ebrei e di istituti scolastici della comunità israelitica sotto il controllo del regime.

Proprio in una di quelle classi ghetto la bambina ebrea Gabriella Leoni, benché discriminata e denigrata dall’Italia fascista, dovette scrivere sul suo quaderno, il 10 dicembre 1940: “Io sono orgogliosa di essere Piccola Italiana perché con i miei sacrifici posso contribuire alla grandezza dell’Italia e portarla alla vittoria”.
Una vittoria per lei nefasta, che avrebbe consentito a Hitler di completare la “soluzione finale” già avviata del “problema ebraico”.

Nicola Bruni

Nella foto, Liliana Segre quando era bambina e fu espulsa dalla scuola elementare perché ebrea in base alle leggi razziali fasciste del 1938. E’ sopravvissuta allo sterminio della Shoah dopo essere stata deportata ad Auschwitz nel 1944-45. Dopo la Liberazione, Liliana Segre si è sposata, ha avuto tre figli ed è diventata nonna, ma solo a distanza di 40 anni ha trovato il coraggio di andare a raccontare nelle scuole la sua terribile esperienza. Nel gennaio 2018, a 87 anni di età, è stata nominata dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, senatrice a vita “per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”.