La mia tata Caterina

Voglio ricordare, con amore e gratitudine, un angelo custode in carne e ossa che ho avuto negli anni della mia infanzia: la dolcissima tata Caterina Inzitari (1915-2002). 

Caterina Inzitari è stata per me una seconda mamma, che mi ha visto nascere – in casa, con l’assistenza di una levatrice, come si usava a quei tempi -, mi ha aiutato a crescere e mi ha dato tanto affetto. Serbo per lei tanto amore e tanta gratitudine.

Ricordo che da bambino veniva a imboccarmi mentre io giocavo e non volevo mangiare. Mi serviva l’uovo sbattuto, mi comprava come leccornìe – in tempi di grandi ristrettezze economiche – le “melucce” e le banane. Mi narrava ingenue favolette i cui protagonisti facevano molta strada a piedi: “E cammina, cammina cammina. E cammina, cammina, cammina…“.

Caterina era l’amica del cuore della mamma, che la chiamò a Roma dalla Calabria per farsi aiutare quando io stavo per nascere, nell’ottobre del 1941.

Da allora ha sempre vissuto con la mia famiglia: con mia madre fino alla sua morte nel gennaio del 1984; poi con mia sorella Mariuccia fino a febbraio del 2000, quando anche lei è salita al Cielo; per ultimo, in casa mia, fino a maggio del 2002, quando – all’età di 87 anni – si ammalò gravemente, rimanendo paralizzata alle gambe, e fu ricoverata in ospedale. Morì il 2 ottobre successivo.

Quella di Caterina è una storia d’altri tempi. Nata ad Arena (Vibo Valentia) nel 1915, in una famiglia poverissima di braccianti agricoli, rimasta orfana di entrambi i genitori (morti per l’epidemia di Spagnola) all’età di tre anni, fu affidata dal nonno materno ad una famiglia di “signori” del paese, quella di mia madre Stella Cesarelli, che la accolse come una figlia e al compimento dei 15 anni la assunse formalmente al suo servizio.

Ho ritrovato la “convenzione”, dattiloscritta su carta bollata da 4 lire, datata “Arena 23 febbraio 1930 – Anno VIII”, e firmata dal nonno-tutore, dal fratello di mia madre e da due testimoni.

C’è scritto che il nonno “si obbliga che sua nipote Caterina presti servizio fino alla sua maggiore età (anni 21) presso la famiglia di …, il quale s’impegna di alloggiarla, vestirla decentemente del suo stato, alimentarla, e sorvegliarla e correggerla da buon padre di famiglia“. 

Caterina, in quella casa, fu trattata molto bene, e mia madre, che era di sette anni più grande, si affezionò a lei come a una sorellina.

Quando venne a Roma nel 1941, Caterina si esprimeva in dialetto ed era analfabeta, non avendo mai frequentato una scuola. Imparò a leggere e scrivere solo all’inizio degli anni ’60 seguendo in tv il famoso programma del maestro Alberto Manzi “Non è mai troppo tardi”. E apprese a parlare correttamente in italiano, senza sbagliare congiuntivi e condizionali, ascoltando i discorsi che si facevano in famiglia.

Nicola Bruni

Nella foto in alto, Caterina Inzitari al mio matrimonio, il 3 luglio 1973.

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L’eutanasia che fu imposta a Caterina

Nel maggio del 2002 Caterina rimase improvvisamente paralizzata alle gambe per un tumore all’ipofisi.  Aveva 87 anni, ma fino a quel momento era stata in buona salute. Dal febbraio del 2000, dopo la morte di mia sorella Mariuccia, io e mia moglie l’avevamo accolta in casa nostra.

Dopo un mese di ricovero all’ospedale San Giovanni di Roma, fu trasferita in una casa di cura convenzionata a lunga degenza di Nemi, dove rimase per altri quattro mesi, fino alla morte.

Io andavo a visitarla come un figlio quasi tutti i giorni, viaggiando in macchina da Roma, e le avevo messo una badante che quotidianamente si prendeva cura di lei e l’aiutava a mangiare.

Nella terza decade di settembre, Caterina era ancora lucida, anche se molto deperita; pregava insieme con me e voleva vivere, ma non riusciva più a inghiottire il cibo, per cui la nutrivano con la flebo. 

Un giorno vidi che le avevano tolto la flebo, sebbene lei non riuscisse a mangiare. Andai a chiedere spiegazioni al primario, il quale mi rispose con arroganza: “Lei non si intrometta. Le terapie le decido io”. 

Due giorni dopo, il 2 ottobre del 2002, mi telefonarono all’una di notte per comunicarmi che Caterina era morta. Mi precipitai a Nemi alle 8 del mattino e vidi che il suo letto era stato già occupato da un’altra paziente. Ne dedussi che quel primario aveva deciso di affrettare la morte di Caterina, perché aveva urgente bisogno di liberare un posto in corsia.

Allora, il comportamento di quel medico sarebbe stato perseguibile come reato in sede penale; ma da quando la legge del 2017 sulle DAT (Disposizioni anticipate di trattamento) ha incluso la nutrizione artificiale fra i trattamenti terapeutici, qualunque medico ospedaliero potrebbe sentirsi autorizzato a sospendere legalmente la “terapia” della nutrizione anche senza il consenso del paziente, cioè a praticare una forma di eutanasia per omissione.

Comunque, la mia cara e buona Caterina, che è stata per me una seconda mamma, ora si trova sicuramente nella gioia del Paradiso, sia per aver condotto una vita cristiana esemplare sia per aver pregato ogni giorno e aver ricevuto i santi sacramenti mentre si avvicinava il momento del trapasso.

Nicola Bruni

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