Che fine ha fatto Ponzio Pilato

Ogni domenica il nome di Ponzio Pilato è pronunciato da centinaia di milioni di cristiani che recitano il Credo durante la Messa in tutto il mondo: “Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato”.

Come si spiega che nella professione di fede della Chiesa sia citato questo piccolo tiranno, che per viltà condannò a morte Gesù dopo averlo riconosciuto innocente? 

Il suo nome sta a testimoniare la storicità dell’evento della crocifissione di Gesù, attestata anche da Cornelio Tacito nel XV libro degli Annales e da Giuseppe Flavio nel libro Antichità giudaiche.

Ponzio Pilato fu prefetto romano della Giudea dal 26 al 36 d. C. per conto di Tiberio, e alla sua nomina fu chiamato a giurare fedeltà all’imperatore come gli altri funzionari imperiali nel tempio di Marte Ultore, eretto a Roma nel Foro di Augusto.

Dieci anni dopo, Lucio Vitellio, governatore della Siria dal 35 al 36, lo rimosse dalla carica perché era accusato di una strage di Samaritani e lo rispedì a Roma per rendere conto all’imperatore Tiberio. Ma questi morì (nell’anno 37) prima del suo arrivo. 

Lo storico Filone di Alessandria, nel suo De legatione ad Caium, riportò questo giudizio del re di Giudea Erode Agrippa I quando descrisse a Caligola il comportamento di Ponzio Pilato: “Un tiranno corrotto, avido e insensibile alle ragioni della giustizia. Orgoglio, prepotenza e insolenza erano la regola… Il paese sotto di lui fu lasciato al saccheggio e la gente veniva uccisa senza rispetto di alcuna legge”.

Dopodiché, la vicenda di Pilato scompare dalle fonti storiche. Eusebio di Cesarea, citando testi apocrifi, afferma che l’ex prefetto della Giudea sarebbe stato esiliato da Caligola nelle Gallie, dove si sarebbe suicidato nella città di Vienne. Anche secondo Agapio di Ierapoli, Pilato si sarebbe suicidato, durante il primo anno del regno di Caligola.

Resta il valore simbolico della figura di Ponzio Pilato. 

Il suo gesto teatrale di lavarsi le mani davanti alla folla come per scrollarsi di dosso la responsabilità della morte di un innocente da lui stesso condannato, è divenuto la metafora di chi non vuole assumersi responsabilità che gli competono. E da quel gesto deriva, con un’accezione spregiativa, l’aggettivo pilatesco.

Inoltre, la domanda “Che cos’è la verità?” che Pilato rivolse a Gesù senza attendere una risposta, può essere considerata un emblema del moderno relativismo, che nega l’esistenza della verità riducendola ad una opinione.

Nicola Bruni

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A sinistra: “Ecce homo” (ecco l’uomo), statua della Scala Santa di Roma raffigurante Ponzio Pilato che mostra alla folla dei Giudei Gesù da lui fatto flagellare, intendendo dire: “Guardate come l’ho punito. Non vi basta?”.

A destra: i ruderi del Tempio di Marte Ultore (vendicatore) nel Foro di Augusto a Roma, che fu eretto dopo che era stata vendicata la morte di Cesare con l’uccisione di Bruto e Cassio. In questo tempio Ponzio Pilato fu chiamato, nel 26 d. C., a giurare fedeltà all’imperatore Tiberio come prefetto della Giudea.