La cura per rimpolpare i miei temi “scheletrici” a 8 anni

Un giorno del 1950 la maestra di terza elementare, alla scuola Manzoni di Roma, riferì alla mia mamma che le mie composizioni scritte erano “scheletriche”. Voleva dire che ero troppo sintetico nell’esprimere il mio pensiero. 

Mamma Stella associò quell’aggettivo al fatto che io ero, all’epoca, molto magro: sotto la pelle mi si vedevano le ossa. Infatti, non avevo appetito e non mi piaceva mangiare. 

La tata Caterina, che viveva con noi, doveva venirmi dietro mentre io giocavo in casa con le “lattine” per cercare di imboccarmi nei momenti in cui ero distratto. “Ti ho detto che non ne voglio”, le rispondevo bruscamente quando mi accorgevo di aver trangugiato un boccone.

Il pediatra consigliò di farmi prendere come ricostituente un cucchiaio al giorno di olio di fegato di merluzzo (“Puah, che schifo!”). La cura ebbe effetto: mi tornò la “fame”, cominciai a rimpolparmi, e anche nei miei temi scolastici comparve un po’ di “ciccia”.

Ricordo che una volta chiesi consiglio alla mamma mentre facevo i compiti: “Che ci metto in questo tema?”. L’argomento era una lettera ad un amico che si era trasferito in un’altra città. Mia madre mi suggerì di raccontare quello avevo fatto durante la giornata: a scuola, all’oratorio, nei giochi con i compagni. 

“Ble-ble, ble-ble, le solite cose”, commentai, disapprovando. E aggiunsi: “Ora ci penso io”. Mi ero fatto venire in mente di raccontare all’amico un fantastico viaggio che io allora avrei potuto solo sognare: il volo su un aeroplano. “Tanto, l’amico che non esiste non può dire che gli ho raccontato una balla”.

Tornando con i piedi per terra, andai incontro ad una delusione. La maestra di canto, una bella signora dai capelli argentati che svolgeva le funzioni di “vigilatrice”, dette inizio alle prove di selezione per formare il coro della scuola. Quando toccò il mio turno, nel cantare “Va pensiero” di Giuseppe Verdi con l’accompagnamento di un pianoforte, steccai “sull’ali dorate”, e fui subito rimandato in classe. 

Ci rimasi male, anche perché mi piaceva stare con quella maestra, che era più bella della mia. 

Mi consolai facendo volare il mio pensiero su altre ali, quelle della fantasia, su altre cose straordinarie diverse dal canto che avrei potuto fare “da grande”.

Nicola Bruni

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In questa foto, del maggio 1950, io sono il secondo da destra.