40 anni fa, papà Peppino

Rivolgo un pensiero di amore e gratitudine al mio papà, Peppino Bruni, del quale il 23 marzo 2023 si sono compiuti 40 anni dalla morte.

Ricordo che era molto orgoglioso dei successi scolastici dei suoi tre figli – Nicola, Mariuccia e Antonio -, che vide arrivare uno dopo l’altro alla laurea, lui che era potuto andare a scuola solo fino alla sesta elementare e poi si era formato da autodidatta.

Conservo una lettera che mi inviò dalla Calabria il 25 maggio 1955, quando avevo 13 anni e frequentavo a Roma la terza media. Si congratulava con me dopo aver appreso che avevo vinto per concorso una borsa di studio di 30mila lire del Ministero della Pubblica Istruzione. “Come vedi – mi scriveva -, quando si fa bene, bene si avrà, non solo dal punto di vista materiale del danaro ma da quello morale e sociale di vedersi emergere tra gli altri con il valore dell’intelletto e dello studio. Ricordati che l’elevazione intellettuale deve procedere unitamente ad un’altra elevazione più grande e più bella, che è quella morale, nobilitando l’animo, educandolo alla bontà e all’amore per tutti, alla generosità e alla lealtà con tutti e alla fierezza della vita”.

Nato nel 1907 a Dasà, nei pressi di Vibo Valentia, figlio di un sarto, a 18 anni si arruolò come volontario nell’Esercito e conseguì il grado di sergente. Nel 1935-36 partecipò alla guerra d’Etiopia, durante la quale ottenne la promozione a maresciallo e una medaglia di bronzo al valor militare. Tornato in patria, fu chiamato a prestare servizio a Roma nel Ministero della Guerra, e non fu coinvolto nelle operazioni belliche del secondo conflitto mondiale.

Il 5 febbraio del 1941, sposò la mia futura mamma, Stella Cesarelli, di Arena, un paese vicino al suo, e si accasò con lei a Roma in un appartamentino di Via Licia, dove io ebbi la ventura di nascere il 26 ottobre dello stesso anno.

All’inizio del 1944, durante l’occupazione tedesca di Roma, Peppino si rifiutò di giurare fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana di Mussolini, e fu subito “collocato a riposo” senza assegni. Fortunatamente, i nazisti non si misero a cercarlo per deportarlo in Germania (come toccò ad altri 600mila militari italiani), ma la mia famiglia restò priva di reddito. Allora patimmo la fame. Papà andava in giro nelle campagne dei dintorni per scambiare con generi alimentari le provviste di sale che aveva fatto allo scoppio della guerra. Poi, grazie ad un amico, trovò un posto di guardiano di ricovero antiaereo. 

Dopo la liberazione di Roma, del 4 giugno 1944, fu reintegrato con onore nell’Esercito. Nel 1948 fu congedato in anticipo, con i benefici pensionistici di una legge sull’esodo volontario postbellico dei militari di carriera; poi, dedicò parte del suo tempo all’agricoltura in Calabria.

Al suo paese di origine, dove lo chiamavano “il Maresciallo”, era generalmente stimato come persona gentile, onesta, generosa e disponibile ad aiutare chi ne avesse bisogno: in particolare, per sbrigare gratuitamente a Roma le pratiche di pensione di amici e conoscenti calabresi.

Papà era un cristiano credente ma non praticante. Gli piacevano le tradizioni religiose, le processioni di paese e il fasto delle liturgie solenni. Ogni anno per Natale allestiva il presepe in casa, e ci teneva a partecipare alla Messa di mezzanotte. Prima di morire, il 23 marzo 1983, mentre era ricoverato in ospedale a Roma per un carcinoma, si strofinò sul petto un’immaginetta della Madonna del Divino Amore, che io gli avevo portato dal santuario, pregando: “Madonna mia, salvami!”.

Nicola Bruni

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Nella foto in alto, del 23 maggio 1943, ero con il mio papà nella Villa Medici a Roma.

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1944 – Come il mio papà si salvò dalle Fosse Ardeatine

Il 23 marzo 1944, quando scoppiò la bomba in Via Rasella, il mio papà, Peppino, si trovava nella zona del centro di Roma che fu subito circondata e rastrellata dai militari tedeschi alla ricerca dei colpevoli. Poiché lui era un maresciallo espulso dall’Esercito per essersi rifiutato di giurare fedeltà alla Repubblica di Mussolini, se lo avessero fermato e identificato, sarebbe sicuramente finito alle Fosse Ardeatine per essere fucilato. Perciò, telefonò da un bar ad una vicina di casa chiedendole di informare la mia mamma (che non aveva il telefono) che forse non sarebbe tornato per quello che stava accadendo. Poi, arrivato ad un posto di blocco, si fece coraggio ed esibendo disinvoltamente la sua tessera con la foto in divisa disse: “Polizia”. Come Dio volle, lo lasciarono passare e si salvò.

Nicola Bruni