Disegnare un fiasco con un bicchiere

20 maggio: “Disegnare un fiasco con un bicchiere”. Ho ripescato dal mio archivio il diario scolastico che compilai, con inchiostro blu, nell’anno 1952/53 frequentando la prima classe nella scuola media Giovanni Pascoli di Roma. L’istituto era, allora, ospitato nel tetro edificio di un ex convento di Via San Giovanni in Laterano, a breve distanza dal Colosseo.

Per esservi ammessi, io e i miei compagni avevamo dovuto superare, con la classica tremarella “Giacomo-Giacomo”, la selezione di un difficile “esame di Stato”, successivo a quello di licenza elementare. 

Il libricino, edito da Angelo Signorelli, si apre con un severo regolamento ufficiale, composto di 20 articoli, sui “Doveri degli alunni in scuola”. E in ogni pagina cerca di ammaestrare lo scolaretto con un aforisma moraleggiante d’autore: per esempio, “L’ignoranza è sempre pronta ad ammirarsi. Boileau”.

In una delle prime pagine è riportato l’orario delle lezioni, nel quale risultano 24 ore settimanali di 50 minuti, così ripartite tra le 8 materie: 6 di italiano, 6 di latino, 2 di storia, 2 di geografia, 3 di matematica, 2 di disegno, 2 di educazione fisica, 1 di religione. Per la giornata di martedì sono segnate solo le 2 ore di ginnastica, perché la palestra era ubicata in un luogo distante dalla scuola, e quando mancava l’insegnante facevamo vacanza.

Segue un elenco di 12 libri di testo obbligatori, più i vocabolari di italiano, latino e inglese a libera scelta. In appendice, il volumetto pubblica ben 33 moduli per le giustificazioni delle assenze, che nel mio caso sono rimasti tutti in bianco, perché io non mi assentai neppure una volta.

A quei tempi l’anno scolastico cominciava ufficialmente il primo ottobre, con gli esami di riparazione, ma le lezioni partivano più tardi. Allora, alla Pascoli, ebbero inizio lunedì 20 ottobre. In quella data io annotai che mi era stata attribuita dalla professoressa di lettere la seguente “Carica”: “Blibiotecario [sic] – Capo della terza fila. Guardare se hanno fatto i compiti e se hanno portato i libri. Fornire i libri di storia e latino alla prof.”.

Nella pagina del 18 dicembre trovo scritto che “Nel saggio di analisi logica e latino ho meritato sette e mezzo”, con la sigla dell’insegnante di lettere e la firma della mia mamma.

Tra i compiti per casa assegnati nel diario, ci sono temi, riassunti, esercizi e pagine da studiare delle diverse materie, e poesie da imparare a memoria, tra le quali “Il passero solitario” e “Il sabato del villaggio”, di Leopardi. Sabato 28 febbraio: “Versione in classe dall’italiano al latino”. Lunedì 23 marzo: “Tema: San Benedetto, la rondine sotto il tetto…”. Lunedì 30 marzo: “Italiano – Gara di ripetizione: poesie, analisi logica e grammaticale”. Venerdì 17 aprile: “Matematica – Gara sulle regole da pag. 83 a 124”. Mercoledì 13 maggio: “Religione – Saggio di cultura religiosa”. Venerdì 22 maggio: “Ripetizione di tutto il programma. Interrogazioni su tutte le materie”.

Un errore d’ortografia ricorrente nelle mie annotazioni (e che nessuno mi ha corretto a scuola per alcuni anni) colpiva la parola “proprietà”, che restava privata… della seconda r: “Ripetere le propietà della moltiplicazione”.

Nell’ultima pagina del diario, sotto la data di sabato 30 maggio, scrissi: “Un’ora sola per la chiusura dell’anno scolastico. Portare solo un foglietto e un lapis”. Allora la matita si chiamava lapis (che in latino significa pietra) ed era usata di preferenza rispetto alla penna perché non aveva bisogno dell’inchiostro di un calamaio.

Poi, l’attesa dei “quadri” con i risultati degli scrutini finali. Io fui promosso con buoni voti, ma la maggior parte dei miei compagni – ahimé! – furono o rimandati o respinti. Si applicava, infatti, la “dura lex sed lex” di una scuola media selettiva, che metteva al primo posto il latino e tendeva a fermare o a espellere chi non si mostrasse “portato per lo studio”.

Nicola Bruni