Quella lettera dal Belice

Il 14 e 15 gennaio del 1968 ci fu un disastroso terremoto nella Valle del Belice. Cinque anni dopo quell’evento funesto, la mia futura sposa Elina partecipò ad un “campo di lavoro” organizzato a Sambuca di Sicilia (Agrigento) dall’Azione Cattolica regionale allo scopo di programmare iniziative di aiuto alla popolazione locale, costretta ancora a vivere nelle baracche. E da quel paesino diroccato l’8 agosto del 1973 mi spedì la sua prima lettera: quattro pagine riempite da una grafia minuta. 

Ci eravamo conosciuti dieci giorni prima in un convegno nazionale di studio di professori cattolici dell’Uciim a Loreto, dove ero andato da Roma con la mia Fiat 500. Lei era venuta da Catania.

Frequentandoci, ci eravamo segretamente innamorati, fino a che la sera del 3 agosto, alla vigilia della partenza, mentre visitavamo la cittadina di Osimo, l’oscurità causata da un provvidenziale blackout elettrico mi infuse il coraggio di baciarla. Ci baciammo teneramente a lungo con le labbra chiuse, colmi di felicità. 

Poi, sbalorditi ed emozionati per quello che era avvenuto tra noi, non riuscimmo a pronunciare neppure una parola d’amore, e tornammo in albergo con il cuore in tumulto. 

Passammo entrambi, ciascuno nella propria camera, gran parte della notte in bianco, a riflettere su che cosa fare dopo quel bacio. 

L’indomani, terminato il convegno, ci congedammo come amici, ma mi accorsi che lei aveva gli occhi inumiditi da una lacrima. Mi disse malinconicamente: “Ora tu te ne vai per la tua strada, io per la mia”. Anche io mi commossi e le risposi: “Verrò a trovarti a Catania. Forse, potremmo andare per la stessa strada insieme”. 

Perciò Elina, in quella prima lettera, oltre a raccontarmi dettagliatamente la sua interessante esperienza, si limitava a manifestare la cauta speranza che io confermassi il sentimento di amore per lei. 

Scriveva tra l’altro: “La sera del 5 agosto abbiamo cenato in aperta campagna. Mentre si cantava e si scherzava, sovente mi sono accorta che guardavo attorno in cerca di Nicola […].

Ti confesso che avverto il bisogno della tua presenza, senza la quale patisco un senso di vuoto nel mio animo.

Per confortarmi, penso alla gioia che abbiamo provato insieme ad Osimo, quando quella luce ‘galeotta’, spegnendosi al momento opportuno, ci ha permesso di aprirci reciprocamente. Ero stupita per quello che ci stava accadendo, ma felicissima di essere fra le tue braccia.

Il ricordo di quei momenti mi fa pensare al posto che potresti occupare nella mia vita e all’amore che potremmo scoprire insieme. Chissà se hai pensato a questo pure tu e se ancora mi ricordi con lo stesso sentimento! […]”.

Undici mesi dopo, il 3 luglio del 1974, ci sposammo “per sempre”, davanti a Dio. 

Nicola Bruni

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