Casa mia, da quarant’anni

(8 novembre 2022)

Sono passati 40 anni da quando, nel novembre del 1982, mi trasferii con la mia famiglia nell’attuale abitazione del quartiere Appio Latino di Roma. Un appartamento di quattro camere e due balconi al quinto piano, in una tranquilla strada privata a pochi passi dal parco della Caffarella e dalla stazione Colli Albani della metro A, con l’ufficio postale dietro l’angolo e la chiesa parrocchiale a portata di piede. Soleggiato al mattino dal lato del cortile e nel pomeriggio dal lato esterno.

L’acquistammo – dopo otto anni di permanenza in una casa d’affitto priva di balconi – per un prezzo di favore da una famiglia che aveva urgenza di venderlo. 

L’affare fu tutto merito della mia sposa Elina, che si era messa con impegno da alcuni mesi alla ricerca di un nuovo “nido”, dove poter dire, ripetendo una filastrocca della sua infanzia: “Casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una badia”

Una sua grande aspirazione era di avere un balcone da adornare con vasi di fiori, che finalmente poteva soddisfare. 

La mia mogliettina, ogni tanto, a distanza di molti anni, tornava a vantarsi del merito di aver trovato una così bella e comoda dimora, che io non esitavo a riconoscerle.

La prima notte che ci venimmo ad abitare, con i due bambini di 7 e 4 anni sistemati su letti a castello in una cameretta, io ed Elina eravamo molto emozionati e non riuscivamo a dormire. Ci disturbavano anche dei piccoli rumori provenienti dalla strada. Inoltre, avevamo il pensiero di dover svuotare gli scatoloni del trasloco che ingombravano l’ingresso, il corridoio e il soggiorno.

Quando, finalmente, la casa fu messa in ordine, i pargoletti Paolo e Fabio cominciarono a saltare a piedi nudi sul pavimento, con rimbombi che furono uditi da un’ombrosa inquilina del terzo piano, la quale si “incavolò” e bussò alla nostra porta mettendosi a “baccagliare” contro di noi. 

Molto pazienti e comprensivi furono, invece, i vicini del piano di sotto, Luigi e Rita, per i rumori causati dai nostri bambini, i quali – abituati a stare al primo piano con un’officina sotto il pavimento – si mettevano a giocare a palla in casa anche di notte, e non volevano sentire ragioni. Motivo per cui, ad un certo punto, fui io a scendere dai coniugi “comprensivi” per sollecitarli a salire su e rimproverare i due monelli. Ma quei santi cristiani non vollero farlo dicendo: “Lasciateli sta’, so’ regazzini!”. 

Nicola Bruni

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Nella foto, la nostra famiglia a dicembre del 1982.

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