Il razzismo dei colori

Quando è bianco, biancheggia. Quando è rosso, rosseggia. Quando è verde, verdeggia. E quando è scuro… scureggia. Pardon! Stiamo parlando, in termini coloriti, di una peculiarità che distinguerebbe il cosiddetto uomo bianco (in effetti, più o meno beige) dalle cosiddette persone di colore (altrimenti etichettate come nere, gialle o pellerossa), la capacità di cambiare colore secondo le circostanze: di sbiancare per uno spavento, arrossire per la vergogna, diventare verde per la rabbia, nero per una disfatta, paonazzo per una congestione, giallo per un ittero, e inoltre di arrossarsi, abbronzarsi o annerirsi la pelle con l’esposizione ai raggi solari.

È il caso di ricordare che non esiste una “razza bianca”, così come non esiste una “razza nera”, e tanto meno una “razza gialla” visto che i cinesi sono più “bianchi” dei “bianchi”. 

Hitler e Mussolini si erano inventata una “razza ariana”, una brutta razza di razzisti che per imporsi al mondo scatenò una guerra da 55 milioni di morti.

“Le razze umane non esistono – ha ribadito un manifesto di “scienziati antirazzisti”, sottoscritto l’11 luglio 2008 a San Rossore nel 70° anniversario delle leggi razziali fasciste del 1938 -. L’esistenza delle razze umane è un’astrazione derivante da una cattiva interpretazione di piccole differenze fisiche fra persone, percepite dai nostri sensi, erroneamente associate a differenze ‘psicologiche’ e interpretate sulla base di pregiudizi secolari. Queste astratte suddivisioni, basate sull’idea che gli umani formino gruppi biologicamente ed ereditariamente ben distinti, sono pure invenzioni …”.

Perciò, sarebbe ora di mettere tra due robuste virgolette la parola “razza” menzionata nella nostra Costituzione (testo del 1947) laddove (articolo 3) si sancisce l’uguaglianza dei cittadini senza distinzioni, anche di razza.

Nicola Bruni

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