Le campane di Pasqua

Le campane di tutte le chiese, nei miei ricordi di quando ero bambino (prima della riforma liturgica del 1952), suonavano a distesa intorno alle ore 11 mattutine del Sabato Santo, annunciando la Pasqua di Resurrezione di Gesù. Ciò avveniva nel momento in cui, durante la Messa, si intonava il “Gloria in excelsis Deo”. E dal centro storico di Roma, dove le chiese sono numerose, fino ai quartieri di periferia, echeggiava un festoso concerto.

Non so in base a quale motivazione teologica si praticasse quell’usanza. Sta di fatto che la festa veniva fatta cominciare con 13 ore di anticipo rispetto alla domenica di Pasqua stabilita di anno in anno dal calendario secondo il calcolo delle fasi lunari.

Da quel momento, le chiese smettevano il lutto per la morte del Signore, e svelavano le immagini sacre (statue, dipinti e mosaici) che nei giorni della Passione erano state coperte alla vista dei fedeli con dei panni viola.

A quei tempi, non c’erano gli attuali meccanismi elettrici, con programmazione degli orari, per il suono automatico delle campane, e all’incombenza provvedeva, a forza di braccia, o un apposito campanaro o un prete o un sacrestano.

Le persone “di una certa” – come si dice a Roma, omettendo la parola “età” – ricordano la deliziosa canzoncina “Fra’ Martino, campanaro / Dormi tu? / Dormi tu? / Suona le campane / Suona le campane / Din, don, dan / Din, don, dan”.

Una volta, ebbi, da chierichetto, la soddisfazione di poter aiutare un prete della mia parrocchia della Natività, a Roma, a tirare le funi per il “din-don-din-don” di preannuncio di una Messa. Tornai a casa trionfante: mi sembrava mi aver messo in pratica la storica frase – appresa in quarta elementare – che l’ambasciatore fiorentino Pier Capponi aveva pronunciato di fronte al re di Francia Carlo VIII nel 1494: “Se voi sonerete le vostre trombe, noi soneremo le nostre campane”.

Nicola Bruni

Nella foto, le campane della chiesa di Santo Stefano ad Assisi.