Quando la scuola è un piacere imperdibile

Fece il giro del mondo la notizia del piccolo Fuman, di 8 anni, bambino cinese della provincia di Yunnan, che un giorno per andare a scuola percorse 4 chilometri nella neve, con una temperatura di meno 9 gradi. Gli si formarono scaglie di ghiaccio sui capelli e sulle sopracciglia; per questo, fu soprannominato “Fiocco di neve”.

Antonio Augenti lo cita come esempio del desiderio connaturato di apprendere, dedicandogli il titolo di un libro sui cambiamenti dei sistemi di istruzione e formazione: “Una scuola per Fiocco di neve – Cultura efficienza giustizia sociale” (Armando Editore, 2022).

Il desiderio di apprendere di ogni essere umano, fin dai primi passi nella vita, è motivato – argomenta l’autore – sia dalla curiosità di conoscere sia dal piacere di imparare e di fare da sé, e trova soddisfazione nel contatto con un adulto che trasmette il suo sapere e racconta esperienze vissute.

Come istituzione in cui l’apprendimento è organizzato e programmato, la scuola è un diritto naturale per tutti i fanciulli del mondo, ma se questo diritto non viene rispettato, come purtroppo accade per molti milioni di bambine e bambini, si trasforma in un privilegio. Occorre perciò puntare all’eliminazione delle disuguaglianze socioeconomiche e al miglioramento dell’inclusione scolastica su scala planetaria.

La scuola, a patto che sia attrattiva e non punitiva, può essere il luogo in cui ci si fa cogliere dall’entusiasmo per il sapere e la bellezza, ci si apre alla relazione con gli altri, si sperimenta la pratica dell’ascolto, del rispetto, del dialogo, del valore della diversità; un luogo di fondamentale importanza per la formazione umana, in cui si sviluppano le potenzialità personali, si acquisisce un pensiero critico, si discernono i valori che danno un senso al vivere individuale e sociale. 

D’altra parte, bisogna riconoscere che, nella moderna società tecnologica, la scuola non ha più il ruolo centrale di una volta, non è in grado di rispondere a tutte le esigenze formative delle nuove generazioni, ha difficoltà a gestire la concorrenza della tv e della “rete”, ha la necessità di coordinarsi con le altre agenzie educative presenti nel territorio e di ripensare in profondità i suoi metodi di intervento.

Colgo dal libro di Augenti due indicazioni: 

1) porre la scuola al centro di una comunità territoriale in grado di favorire, nel rapporto con la famiglia, una “educazione diffusa”, con il contributo di enti che aggreghino operatori delle arti figurative, della musica, del canto, della danza, dello spettacolo, dello sport, della comunicazione, dell’audiovisivo, della tecnologia digitale, della letteratura, delle scienze, musei, biblioteche, laboratori, organismi di volontariato sociale; 

2) riformare metodi, contenuti e finalità dei curricoli formativi allo scopo prioritario di “promuovere e sviluppare nelle persone un’intelligenza libera di manifestarsi in modo razionale oltre che emotivo”, tenendo presente che l’empatia tra maestro è allievo è un importante fattore di successo dell’azione educativa.

Augenti racconta che un giorno il professor Howard Gardner, della Harvard University, fu avvicinato da uno studente il quale, brandendo il suo smartphone, gli domandò perché in futuro si dovrebbe avere bisogno della scuola, visto che tutte risposte alle domande possibili erano già contenute o presto sarebbero state contenute in un telefonino. Il celebre psicopedagogista, dopo aver riflettuto, rispose: “Certo, le risposte a tutte le domande… tranne quelle importanti”. Si riferiva alle risposte sul senso della vita.

Nicola Bruni