La stilografica del nonno

Mi chiamarono Nicola come il nonno paterno, i miei genitori, Peppino e Stella, originari della Calabria. Io nacqui a Roma in tempo di guerra, nell’ottobre del 1941, e quel nonno, che viveva a Dasà, nel Vibonese, non poté neppure vedermi fino al 1946. Così pure la nonna Maria Caterina, sua moglie. Entrambi morirono nel 1948. I nonni materni, Antonio e Maria, erano già scomparsi prima che io nascessi. La mamma mi educò a ricordarli sempre nelle mie preghiere.

Nonno Nicola faceva il sarto. Potei frequentarlo solo durante le vacanze estive del 1946 e del 1947, quando avevo tra i 5 e i 6 anni. Vestiva dignitosamente un abito scuro da lui stesso confezionato, e nel taschino della giacca teneva appuntata una penna stilografica, come segno distintivo di persona istruita in tempi di diffuso analfabetismo. Quando usciva di casa, indossava un cappello a falde, da “galantuomo”.

Abitava in una palazzina a due piani, attaccata alle altre, nel centro del paese. Io ricordo che vi dormii su uno scomodo materasso riempito di “frusche“, le bucce disseccate delle pannocchie di granoturco. Al pianterreno c’era la “poticha”, il laboratorio di sartoria; al primo piano, il soggiorno e la cucina; al secondo, la camera da letto. Quella casa non aveva il bagno, perché priva di acqua corrente e di allacciamento alla fognatura. 

L’acqua si prendeva alla fontana pubblica in anfore di argilla e damigiane di vetro. Ci si lavava in una bacinella di metallo smaltato, poggiata su un treppiede, o immergendosi parzialmente in una piccola vasca di alluminio. I bisogni si facevano in un vaso, i cui contenuti venivano poi riversati in un secchio, custodito in un bugigattolo sul balcone e che la sera una giovane nipote si incaricava di andare a svuotare in un torrente alla periferia del paese. Per lavare i panni, le donne si recavano ad un lavatoio dove scorreva un ruscello.

Ho trovato nell’archivio di famiglia una lettera che il nonno Nicola scrisse, con quella stilografica, al mio papà il 23 marzo 1941, chiamandolo “benedetto figlio”. Si felicitava con lui e con la sua sposa “Stellina” per la notizia dell’imminente “lieto evento”, e aggiungeva questo auspicio sul sesso del nascituro: “Speriamo che nasca un bel Vincenzino, perché di Catarine, Rose e Marianne ne abbiamo abbastanza”.

Nicola Bruni

Nella foto, veduta panoramica di Dasà (in basso) e Arena, i paesi dove nacquero, rispettivamente, il mio papà e la mia mamma.

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