Il nemico che non c’è

Manca un nemico nella guerra scatenata da Putin con l’invasione dell’Ucraina e i bombardamenti delle città. Manca l’odio necessario per motivare i soldati russi a uccidere gli ucraini, a infierire anche su donne e bambini, a distruggere le loro case. 

Il nemico, per essere percepito come tale, deve essere disumanizzato, mostrificato, fatto apparire come un incombente pericolo, ridotto ad un numero, trasformato nel bersaglio di un poligono di tiro. Hitler e Mussolini insegnano. 

Ricordo la campagna di diffamazione degli ebrei con cui il Führer preparò la Seconda guerra mondiale. Ricordo la campagna di odio fatta orchestrare dal Duce contro l’Inghilterra, “la perfida Albione”, con slogan del tipo “Dio stramaledica gli Inglesi”, che raggiunsero anche i bambini delle elementari.

Molti dei militari invasori hanno parenti e amici nel Paese che sono stati mandati ad aggredire e devastare. Il soldato Boris potrebbe trovarsi a sparare – Dio non voglia – contro il cognato Ivan, a lanciare un missile per sventrare la casa di sua sorella Svetlana e dei suoi nipotini. Di qui, la necessità di arruolare nell’armata di occupazione truppe siberiane di etnia mongola e mercenari stranieri, assassini di professione.

In questa guerra voluta da Putin, per il popolo russo un nemico ucraino non c’è. Gli ucraini non hanno mai bombardato e non stanno bombardando le città della Russia. Perciò, il capo del Cremlino ha bisogno di negare, contro ogni evidenza, che si tratti di una guerra.

Nel romanzo “Niente di nuovo sul fronte occidentale” (1929), Erich Maria Remarque racconta il rimorso di un soldato tedesco della Grande Guerra (1914-18), per aver ucciso un soldato francese caduto durante un attacco nella sua buca. 

Aprendo il portafoglio del morto, il soldato Paul scoprì che quel “nemico” era un uomo come lui: si chiamava Gérard Duval, aveva una moglie, una bambina, una mamma e un papà e faceva il tipografo. 

Sconvolto da quella rivelazione, cercò disperatamente di chiedergli perdono: “Perdonami, compagno! Noi vediamo queste cose troppo tardi. Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri cani al pari di noi, che le vostre mamme sono in angoscia per voi, come per noi le nostre, e che abbiamo lo stesso terrore, e la stessa morte e lo stesso patire… Perdonami, compagno, come potevi essere tu mio nemico? Se gettiamo via queste armi e queste uniformi, potresti essere mio fratello, come Kat, come Alberto. Prenditi venti anni della mia vita, compagno, e alzati; prendine di più, perché io non so che cosa ne potrò mai fare”.

Nicola Bruni

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Nella foto, un donna ucraina rifocilla un giovanissimo soldato russo fatto prigioniero.

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