Cinquant’anni dopo la morte di don Lorenzo Milani, il 20 giugno del 2017, Papa Francesco andò a pregare sulla sua tomba nel cimitero di Barbiana, come atto di riparazione verso “un grande educatore italiano” e un fedele sacerdote di Cristo che fu incompreso, censurato ed emarginato dalle autorità ecclesiastiche del suo tempo. E lo riabilitò con forza, affermando che l’inquietudine spirituale di Lorenzo “non era frutto di ribellione ma di amore e di tenerezza per i suoi ragazzi”, ed era “alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola, che sognava sempre più come ‘un ospedale da campo’ per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati“.
Quella solenne riabilitazione papale del “Priore di Barbiana“, mi ha fatto molto piacere perché io sono un suo estimatore fin dai tempi del liceo. Nel 1959, quando il Sant’Uffizio ordinò che il libro di don Milani “Esperienze pastorali” fosse ritirato dal commercio, il Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana decise, per solidarietà con l’autore, di acquistarne alcune centinaia di copie da distribuire ai suoi circoli culturali, e una di quelle copie finì nelle mie mani, che l’hanno custodita fino ad oggi come una reliquia.
Poi, da insegnante di lettere e da giornalista, io sono stato un convinto assertore del modo “rivoluzionario” di concepire la scuola di base proposto nel libro “Lettera a una professoressa“, opera collettiva degli alunni di don Lorenzo nella scuola di Barbiana, pubblicato nel 1967.
All’epoca, il triennio della scuola media unica obbligatoria era stato appena completato (1965/66), ma le statistiche informavano che i due cicli della “scuola dell’obbligo” bocciavano ogni anno circa un milione di ragazzi e ne perdevano per strada più di 450mila.
Come era avvenuta la selezione? Naturalmente, gli insegnanti sostenevano di aver bocciato “i cretini e gli svogliati”. Tuttavia – osservavano gli autori della “Lettera” – se consideriamo la provenienza dei bocciati, ci accorgiamo che la grande maggioranza dei cretini e degli svogliati proviene dalle categorie più umili, mentre è certo che il buon Dio non li fa nascere quasi tutti nelle case dei poveri. “Anche i signori hanno i loro ragazzi difficili. Ma li mandano avanti”. Sono i figli dei poveri che restano indietro o si fermano, sia perché le loro condizioni culturali di partenza non sono uguali a quelle dei ragazzi socialmente più fortunati, sia perché i loro genitori non hanno tempo, mezzi e capacità per educarli e guidarli nello studio, sia perché molti insegnanti fanno “parti uguali tra disuguali”, cioè pretendono di trattare “imparzialmente” il figlio del contadino come il figlio del professionista, mentre il primo ha bisogno di maggiori cure e comprensione.
Di qui, un monito per i professori: “Non vi potete trincerare dietro la teoria razzista delle attitudini. Tutti i ragazzi sono adatti a fare la terza media e tutti sono adatti a tutte le materie… Se ognuno di voi sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farli funzionare”.
Ci sono, è vero, scolari particolarmente indocili: “Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.
Proprio nell’anno scolastico 1967/68, successivo alla pubblicazione di quel libro, io ebbi il mio primo incarico annuale di insegnamento nella scuola media di Strangolagalli, paesino collinare della Ciociaria, dopo un biennio di supplenze brevi. E lì mi trovai, da “milaniano“, a battagliare duramente in sede di scrutinio finale con una maggioranza di professori “bocciofili“, ansiosi di mandare “a zappare la terra” i poveri figli dei contadini che secondo loro non erano “portati per gli studi“.
Da allora, grazie anche a don Milani, se ne è fatta di strada!
Nicola Bruni
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Nella foto, don Lorenzo Milani con alcuni alunni della scuola di Barbiana.