Papà Peppino, detto “Il Maresciallo”

Piccola storia di famiglia.

Il mio papà, Giuseppe Bruni, detto Peppino, lo conoscevano tutti come “il Maresciallo”, a Dasà, il paesino della Calabria dove era nato il 26 gennaio 1907, e lo stimavano come persona gentile, onesta, generosa e disponibile ad aiutare chi ne avesse bisogno. In particolare, si adoperava gratuitamente, e rifiutando i regali dei beneficiati, per sbrigare le pratiche di pensione di guerra o di vecchiaia di amici e conoscenti calabresi.

Da bambino frequentò la scuola elementare, fino alla sesta classe. Poi ampliò, da autodidatta, la sua formazione culturale, acquisendo una notevole capacità di scrittura in italiano appropriato e corretto.
Lui non aveva potuto proseguire gli studi, perciò era molto orgoglioso dei successi scolastici dei suoi tre figli, che, uno dopo l’altro, sono arrivati a conseguire brillantemente una laurea e a diventare dei professionisti giovandosi dell’ascensore sociale offerto dalla scuola.

Il padre era sarto e avrebbe voluto avviarlo al suo mestiere, ma lui aveva altre aspirazioni: a 18 anni lasciò il paese nativo per arruolarsi nel Regio Esercito, e conseguì presto il grado di sergente.

Nel marzo del 1935 fu inviato in Eritrea, come sottufficiale di polizia coloniale, e dall’ottobre dello stesso anno partecipò alla guerra di conquista dell’Etiopia, nella quale si distinse per atti di eroismo e fu premiato con una medaglia di bronzo e la promozione al grado di maresciallo.

Tornato in patria, fu chiamato a prestare servizio nel Ministero della Guerra a Roma, e così, per sua fortuna, dopo il 10 giugno 1940, non dovette partecipare alle operazioni militari del secondo confllitto mondiale.

Durante una licenza, in occasione di una festività patronale, conobbe ad Arena (un paese a 4 km da Dasà) mia madre, Stella Cesarelli, sua coetanea (27.8.1907 + 26.1.1984), appartenente ad una locale famiglia di “signori”. Lui era un giovane di bella presenza e dai modi garbati, lei una ragazza affascinante: si piacquero, e lui le mandò, come si usava a quel tempo, una “ambasciata” con la proposta di matrimonio. Stella accettò.

Si sposarono nel santuario di San Francesco di Paola il 5 febbraio 1941. Poi andarono ad abitare a Roma, in un appartamento di due camere di via Licia, nel quartiere Latino-Metronio. In quella casa, il 26 ottobre 1941 sono nato io, seguito nel 1943 da mia sorella Mariuccia e nel 1946 da mio fratello Antonio.

All’inizio del 1944 papà, come militare, fu chiamato, a giurare fedeltà alla nazifascista Repubblica Sociale Italiana e, poiché oppose un rifiuto, fu licenziato senza assegni.

Di conseguenza, la nostra famiglia rimase priva di entrate finanziarie. Poi, papà trovò un posto come guardiano di un ricovero antiaereo; inoltre, andava nelle campagne intorno a Roma a scambiare sacchetti di sale (del quale allo scoppio della guerra aveva fatto un cospicuo rifornimento) con prodotti ortofrutticoli, che contribuivano a sfamarci.

Dopo la liberazione di Roma, fu reintegrato nell’Esercito e promosso al grado di maresciallo maggiore.

Da bambini, noi tre figli abbiamo vissuto in ristrettezze economiche, perché con il solo stipendio di mio padre dovevamo campare in sei, compresa la “tata” Caterina, un’amica intima della mamma adottata di fatto dalla nostra famiglia.

A volte, la domenica pomeriggio, papà portava me e Mariuccia, che eravamo più grandicelli, a fare una passeggiata a piedi nel centro di Roma; poi, al momento di tornare a casa, quando eravamo abbastanza stanchi di camminare, ci domandava se preferivamo prendere il tram o mangiare una pastarella, che costava quanto il tram (25 lire). L’uno e l’altra insieme non poteva permettersi di pagarli.

Papà era un cristiano credente ma non praticante. Gli piacevano le tradizioni religiose, le feste patronali di paese e il fasto delle liturgie solenni. Ogni anno per Natale allestiva il presepe in casa, inchiodando tavolette e pezzi di sughero, e ci teneva a partecipare alla Messa di mezzanotte. Prima di morire, il 23 marzo 1983, mentre era ricoverato in ospedale a Roma per un carcinoma, si strofinò sul petto un’immaginetta della Madonna del Divino Amore, che gli avevo portato dal santuario, pregando: “Madonna mia, salvami!”.

Nicola Bruni

Mamma Stella e papà Peppino alla vigilia di Capodanno del 1979.

Nella foto in alto, Peppino nel 1940 in Via Nazionale a Roma.