La buona novella di Madre Teresa superstar

Articolo di cronaca che pubblicai l’8 dicembre 1993 nel quotidiano IL GIORNO:

    “Non applaudite. Per motivi di sicurezza, siete pregati di non applaudire. E’ un ordine della questura”. Gridando dal microfono con tono allarmato (si teme il crollo del loggione), un prete cerca di smorzare l’entusiasmo dei tremila studenti che gremiscono l’aula magna dell’università La Sapienza di Roma.

    Sono riuniti per un incontro con Madre Teresa di Calcutta, organizzato dai Padri gesuiti della cappella universitaria. Altre migliaia di giovani sono stati lasciati fuori, per mancanza di spazio, e premono agli ingressi. Gli esclusi vorrebbero almeno poter ascoltare che cosa dirà la suora “santa”, Premio Nobel per la pace del 1979. Ma fuori non ci sono altoparlanti. Gli organizzatori sono preoccupati, hanno fretta di concludere e danno inizio all’assemblea, già fissata per le 20, con cinque minuti di anticipo.

    Madre Teresa saluta all’indiana, chinando il capo sulle mani giunte. Piccola di statura, indossa il solito sari bianco listato di azzurro e un golfino blu. Sembra essersi ripresa bene, dopo la recente malattia per la quale, a 83 anni, è stata in pericolo di vita. Sul volto olivastro, solcato dalle rughe, non mostra segni di sofferenza. Parla in inglese, con voce ferma e pacata, interrompendosi di tanto in tanto per consentire la traduzione delle sue parole. Dice: “Amatevi l’un l’altro, come Dio vi ama, cominciando dall’interno della vostra famiglia. Gesù è venuto a darci la buona novella che Dio ama, singolarmente e personalmente, ciascuno di noi. E per farci capire come lui vuole che noi lo amiamo, ha detto al mondo: ‘Tutto quello che farete al più piccolo dei miei fratelli, lo avrete fatto a me. Se date a qualcuno che ha sete un bicchiere d’acqua per mio amore, lo date a me. Se accogliete un bambino nel mio nome, accogliete me’. Se farete questo, nel giorno del giudizio Gesù vi dirà: ‘Venite, benedetti del Padre mio a possedere il regno preparato per voi, perché avevo fame e mi avete sfamato; ero nudo e mi avete vestito; ero senza casa e mi avete accolto; ero malato o in prigione e mi avete fatto visita’ “.

    Madre Teresa ricorda quindi che a Calcutta la sua congregazione delle Suore Missionarie della Carità gestisce una casa-ospedale per i moribondi poveri e abbandonati da tutti. “Questi – osserva – pur nella sofferenza della malattia muoiono sereni, perché sentono di essere amati dalle suore che si prendono cura di loro”. “Con le suore di Calcutta – aggiunge – collaborano circa 70 giovani volontari, ragazzi e ragazze provenienti da vari Paesi del mondo. Servono con gioia i più poveri dei poveri, e tutti poi dicono: ‘Abbiamo ricevuto più di quanto abbiamo dato’ “.

    “Un giorno – racconta ancora – a Calcutta è venuta da me una coppia di giovani, di religione indù. Hanno chiesto la mia benedizione e mi hanno consegnato una grossa somma di denaro: con gioia rinunciavano alle spese per la festa del loro matrimonio, a beneficio dei poveri”.

    Madre Teresa raccomanda poi ai presenti la preghiera, l’eucarestia e l’adorazione eucaristica. E conclude: “Dio vi benedica tutti”.

   Il pubblico defluisce ordinatamente dalla sala, ma fuori una grande folla assedia la porta laterale dalla quale dovrebbe uscire la suora “superstar”, nella speranza di vederla da vicino. Una modesta automobile bianca è lì pronta per condurla a casa. L’attesa però si prolunga, e dopo mezz’ora si fa largo un sacerdote che, aiutato da una dozzina di “gorilla”, riesce ad aprire un corridoio tra la gente. La folla s’ingrossa ancora di più, e la concitazione aumenta. Ma è soltanto uno “scherzo da preti”. Infatti, mentre la massa di “fans” è attirata sul lato sinistro dell’edificio, Madre Teresa viene fatta uscire alla chetichella dal lato destro e “messa in salvo” con un’altra macchina.

Nicola Bruni