Oggi sono una grande attrazione mondiale,
le case-caverne dei Sassi di Matera, risalenti all’età paleolitica, che l’Unesco nel 1993 ha dichiarato “Patrimonio dell’umanità” come testimonianza di un’antica civiltà rupestre. Ma fino alla metà del secolo scorso, erano considerate “la vergogna d’Italia”, per le condizioni assai penose in cui ci vivevano gli eredi e continuatori di quello straordinario insediamento abitativo sviluppatosi nel corso di “oltre nove millenni”.
Carlo Levi le descrive così nel romanzo autobiografico “Cristo si è fermato a Eboli” (1945):
“Sono grotte scavate nella parete di argilla indurita del burrone: ognuna di esse ha sul davanti una facciata. […]
Queste facciate finte, per l’inclinazione della costiera, sorgono in basso a filo del monte, e in alto sporgono un poco: in quello stretto spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto. […]
Le grotte non prendono altra luce e aria se non dalla porta. Alcune non hanno neppure quella: si entra dall’alto attraverso botole e scalette. Dentro quei buchi neri, dalle pareti di terra, vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento stavano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali. Così vivono ventimila persone. Di bambini ce n’era un’infinità”.
A trasferire quell’ultima generazione di “uomini delle caverne” in civili “case popolari ” provvide nel 1952 il Governo De Gasperi.
Da allora, a Matera, scelta come “Capitale europea della cultura 2019”, è stata avviata un’opera di risanamento e ristrutturazione dei Sassi per la loro utilizzazione a fini turistici, culturali ed economici: ristoranti, pizzerie, botteghe artigiane, atelier di artisti, studi professionali, sedi di associazioni, e piccoli alberghi che offrono il brivido di “una notte in caverna”.
Nicola Bruni