Il mio primo sciopero da studente

    Fu il mio primo sciopero da studente, quello per l’Ungheria, a cui partecipai la mattina di lunedì 5 novembre 1956 con i miei compagni del liceo classico Augusto di Roma. L’aveva indetto l’Unione Romana Studenti Medi, un’associazione di area democristiana, per manifestare “in difesa della libertà”. Allora avevo 15 anni.

    Quel giorno nessuno dei circa 1500 alunni iscritti entrò nell’istituto. Eravamo tutti molto turbati per le notizie provenienti da Budapest, sui carri armati sovietici che stavano schiacciando la rivolta del popolo ungherese. 

    Formammo un corteo che si diresse verso Piazza Venezia. Lì confluimmo in un’immensa folla di giovani, che a migliaia premevano per sfondare un robusto cordone di poliziotti e carabinieri schierato a protezione della sede centrale del Partito Comunista, in Via delle Botteghe Oscure.

    Era noto che il Pci si era espresso a favore dell’intervento dell’Armata Rossa in Ungheria, e i manifestanti lo prendevano a bersaglio di feroci invettive… oltre che di una pericolosa sassaiola.

    Ad un certo punto, preceduto da squilli di tromba che inutilmente intimavano lo sgombero della piazza, si scatenò il contrattacco delle forze dell’ordine, con l’impiego di idranti ad acqua colorata montati su autobotti blindate, di bombe lacrimogene sparate dalle canne dei fucili, e di un carosello di camionette di agenti della “Celere” che inseguivano gli studenti fin sulle aiuole dei giardinetti manganellandoli a tutto spiano.

    Ci fu, ovviamente, un fuggi-fuggi, ma non mancarono gli “eroi” che, cercando di emulare gli insorti di Ungheria, resistettero al “nemico” (rappresentato in quel momento dai poliziotti “difensori dei comunisti”) fino a prendersi un sacco di botte e farsi addirittura arrestare. 
    L’indomani, tornati in classe, io e i miei compagni dovemmo affrontare le ire della nostra insegnante di lettere, una bella e distinta signora che non perdeva occasione per manifestarci la sua fede politica comunista: con cipiglio corrucciato, ci ordinò di scrivere, seduta stante, su un foglio di quaderno per quali motivi avevamo disertato le lezioni del giorno precedente.

    Alcuni addussero vaghe giustificazioni, del tipo “perché c’era sciopero” o “perché nessuno era entrato a scuola”, ma io non mi lasciai intimidire.

   Scrissi (conservo lo “storico” foglietto della mia risposta) che lo avevo fatto per “partecipare allo sciopero di protesta contro l’Unione Sovietica e al corteo di solidarietà con l’Ungheria, da me intesi anche come manifestazioni di patriottismo, nel senso che esprimevano l’impegno collettivo degli studenti italiani a difendere la libertà e l’indipendenza del nostro Paese da una possibile aggressione esterna come quella inflitta alla nazione ungherese”. 

   Da allora, ricordo, quell’insegnante mi tenne in maggiore considerazione.

Nicola Bruni

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Nella foto in alto, io sono a destra, in Via Gela, con alcuni compagni della classe V D ginnasiale del 1956-57.