Educato alla guerra, ho insegnato la pace

Sono nato durante la Seconda guerra mondiale. Ho subito in tenera età, a Roma, il terrore dei bombardamenti americani, con frequenti fughe in un rifugio sotterraneo. Ho percepito la paura e l’agitazione dei miei genitori, che nascondevano in casa due nipoti renitenti alla leva militare della repubblica nazifascista di Mussolini, quando agenti delle SS fecero irruzione nel mio palazzo per arrestarvi un giovane partigiano. Ho patito le privazioni, non solo alimentari, del tempo di guerra e del primo dopoguerra. Eppure…

Eppure, quello della guerra era uno dei miei giochi infantili preferiti. Non possedevo soldatini di piombo ma, lavorando con la fantasia, facevo scontrare due eserciti di “lattine”, i tappi metallici delle bibite. 

Al “cinema dei preti”, mi entusiasmavano i film western nel momento in cui arrivavano “i nostri” e abbattevano uno dopo l’altro tutti gli indiani “cattivi”. Tornato a casa, imbracciavo un fuciletto e imitavo John Wayne nel fare “bum bum bum” per ammazzare i nemici.

Da scolaro di quarta elementare, ero affascinato dal mito di quegli eroi che avevano sacrificato la loro vita per “la grandezza della patria”, e sognavo di fare anch’io una morte “gloriosa” come quella di Attilio Regolo, che i cartaginesi rinchiusero in una botte irta di chiodi, rotolata poi da un’altura.

Alla scuola media, lo studio pilotato della guerra di Troia nell’Iliade mi induceva, naturalmente, a fare il tifo per gli Achei aggressori.

Al liceo, e anche all’università, nella facoltà di Lettere, tutto l’insegnamento della storia mi è stato prevalentemente somministrato come un susseguirsi di guerre, con l’obbligo nozionistico di imparare a memoria nomi e date delle relative battaglie. 

Nessuno mi disse mai che “gloriosi” conquistatori e imperatori come Alessandro Magno, Giulio Cesare, Ottaviano Augusto e Napoleone Bonaparte furono anche dei grandi e spietati assassini, che per la loro smania di potere avevano fatto uccidere cinicamente moltitudini di esseri umani come me, spargendo sangue e lacrime sul loro cammino (Mussolini e Hitler, a quei tempi, non erano ancora “pervenuti” nei libri di testo).

Ricordo solo un accenno, fatto nel carme “I sepolcri” di Ugo Foscolo, in cui si parla della tomba “ove posa il corpo di quel grande (Niccolò Machiavelli), che temprando lo scettro a’ regnatori, gli allor ne sfronda, ed alle genti svela di che lagrime grondi e di che sangue”. 

È sostanzialmente mancata, nel mio curricolo di studi, l’educazione alla pace e al rifiuto della guerra di sopraffazione e di conquista, sancito dall’articolo 11 della Costituzione. 

Tuttavia, il valore della pace e il rifiuto della guerra li ho appresi e metabolizzati al di fuori del mio percorso scolastico, frequentando ambienti culturali cattolici e il Movimento giovanile della Democrazia Cristiana, ascoltando anche dal vivo maestri come Giorgio La Pira, Ernesto Balducci, Giovanni XXIII, Paolo VI, leggendo i testi di don Lorenzo Milani. E, una volta salito in cattedra, ho ribaltato quell’impostazione dell’insegnamento della storia che indicava la “gloria” militare come valore supremo.

Nicola Bruni

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Nella foto, del 15 maggio 1998, io sono nell’aula Giulio Cesare del Campidoglio

con una mia classe della scuola media Mommsen invitata a partecipare a una seduta straordinaria del Consiglio comunale,

aperta agli studenti, sul tema dello sfruttamento del lavoro minorile nel mondo.

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