“I figli so’ pezzi ‘e core”, amava ripetere la mia mamma, Stella Cesarelli (1907-1984), facendo proprie le parole di Filumena Marturano, personaggio di una commedia di Eduardo De Filippo. Diceva anche che i figli da piccoli devono essere “rifiatati”, cioè aiutati a respirare, con il fiato della mamma.
Ne ha avuti tre, di figli: me per primo (ottobre 1941), seguito da Mariuccia (luglio 1943) e da Antonio (novembre 1946). E ci ha fatto crescere sani, a Roma, comunicandoci il suo amore e il suo buonumore, trasmettendoci la fede cristiana, dandoci l’esempio della sua vita, incoraggiandoci nelle difficoltà, seguendoci negli studi, sopportando grandi sacrifici insieme con papà per consentirci di arrivare alla laurea.
Nata ad Arena, un antico borgo delle Serre Calabre, in una famiglia di proprietari terrieri, suo padre non le consentì di frequentare la scuola pubblica, come fortemente desiderava, e dovette accontentarsi di un’istruzione privata impartita da precettori a domicilio. Imparò a parlare e a scrivere bene in italiano, qualcosa di francese, e nozioni di varia natura sufficienti a farle azzeccare le parole crociate della Settimana Enigmistica.
A vent’anni, apprese il mestiere di fotografa seguendo un corso per corrispondenza, allestì in casa uno studio fotografico con la “camera oscura”, e trovò da lavorare soprattutto con le foto tessera per i passaporti degli emigranti e le foto ricordo delle famiglie rimaste in paese da inviare ai congiunti espatriati.
Un giorno del 1940, durante una festa patronale ad Arena, le fu presentato il mio futuro papà, Peppino Bruni (1907-1983), maresciallo dell’Esercito in servizio a Roma presso il Ministero della Guerra, che fruiva di una licenza. Lui – originario di Dasà, un paese vicino – era un giovane di bella presenza e dai modi garbati, lei una “signorina” affascinante: si piacquero, e Peppino le mandò, come si usava a quel tempo, una “ambasciata” con la proposta di matrimonio. Stella accettò. Si sposarono il 5 febbraio del 1941, e andarono a vivere insieme in un appartamentino della capitale.
Poiché lo stipendio di papà non bastava, Stella si mise a lavorare in casa come maglierista, dopo aver fatto tirocinio in un laboratorio privato e aver acquistato una macchina di maglieria di seconda mano. E confezionava dei bei capi, anche per noi figli.
La mia mamma aveva un carattere gioioso e uno spiccato senso dell’umorismo. Manteneva l’allegria in famiglia, anche negli anni di ristrettezze economiche del dopoguerra – quando in casa a Roma non avevamo neppure la radio -, cantando, lanciando battute spiritose, narrando in maniera coinvolgente storielle divertenti (come le avventure di Giufà) a noi bambini, intrattenendoci con la lettura settimanale del Corriere dei Piccoli.
La sua canzone preferita era quella della sciatrice, che le dava l’idea di una donna emancipata e in ascesa: “Signorinella, / pallida e snella, / getta la tua gonnella, / la tua pelliccia di vison, / mettiti i pantalon! / Si va sulla montagna / dove la neve il volto ci abbronzerà… / Salir, sempre salir / mentre ogni valle canta cosi: / Sci… sci! / Sciator, riprende il vento, / solo ardimento il tuo motto sarà!”.
Nicola Bruni
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Nella foto, del 1948, mamma Stella con i figli Nicola, Mariuccia e Antonio (in braccio) sulla terrazza condominiale in Via Licia a Roma.