La geometrica armonia del linguaggio “scolastico”

nella mia tesi di laurea in Storia della lingua italiana del 1965

La mia tesi di laurea in Storia della lingua italiana, discussa nel 1965 all’Università di Roma, verteva su sintassi e stile nella letteratura italiana fra Trecento e Quattrocento ed era incentrata sul trattato in volgare fiorentino del 1400 “Regola del governo di cura familiare” di Giovanni Dominici (Firenze 1346 – Buda 1420), un dotto ed eloquente predicatore dell’Ordine domenicano, poi nominato vescovo e cardinale, e dopo la morte proclamato beato dalla Chiesa cattolica.

L’autore scrive in risposta ai quesiti che gli vengono posti da una sua devota fiorentina, Bartolomea degli Obizzi-Alberti, circa i doveri che a lei competono nella cura dell’anima, del corpo, dei beni temporali e dei figli. Bartolomea è una donna colta, certamente in grado di comprendere il latino e anche di addentrarsi in sottili argomentazioni filosofiche. Il Dominici però si propone di giovare spiritualmente non soltanto a lei, ma anche a tutti coloro che potrebbero leggere il libro: pertanto, scrive in volgare, mostrando un certo scrupolo per l’efficacia didattica e la chiarezza espositiva dell’opera.

La disposizione logica della Regola riflette la formazione “scolastica” dell’autore, che era stato scolaro all’Università di Parigi, dove il discorso del “magister” si svolgeva in buona parte con andamento simmetrico, attraverso parallelismi, correlazioni, comparazioni, periodi ipotetici, antitesi, rispondendo a quell’esigenza di ordine logico e di geometrica armonia che era tipica dei trattatisti medievali.

Allo stesso modo procede il libro del Dominici, che si apre con un prologo, nel quale sono anticipati il tema e i motivi ispiratori della trattazione. Questa è divisa in quattro parti, quante sono le domande alle quali l’autore risponde con una dimostrazione che si sviluppa attraverso una serie di passaggi logici. 

Tipico del procedimento scolastico è l’uso di anticipare di volta in volta le varie fasi della dimostrazione: “Prima domandi come debbi usare l’anima… Rispondoti: aspetta, esamina, ricevi e adopera. E in questi quattro capitoletti si contiene la prima intenzione”.

La dimostrazione comincia allegando l’auctoritas della Sacra Scrittura: “Dico prima, che impari dal Salmista dicente: ‘expectabam eum qui salvum me fecit’…”. Alla citazione fa seguito l’illustrazione e il commento della “sententia”: “La ragione del detto è che nulla creatura può alcuno bene porre nell’anima, se non il Creatore…”.

Talora la dimostrazione segue uno schema di tipo sillogistico: prima premessa, seconda premessa, conclusione.

Frequente è l’uso di formule dimostrative (“posto che”, “pertanto è manifesto che”, “se bene m’hai inteso”, “come di sopra è detto”, “resta mostrare”…) e di congiunzioni e avverbi temporali che segnano i vari passaggi logici (“Or piglia..”, “Or misura…”, “Poi che hai bene misurato…”, “Ora impara..”, “Or diventa…”).

Infine, lo scrittore, applicando il metodo scolastico della “disputatio” (discussione) sulle argomentazioni della “lectio”, introduce e confuta possibili obiezioni.

L’esposizione è corredata da citazioni sacre, narrazioni di fatti esemplari, similitudini e allegorie, di cui predicatori, trattatisti e docenti della Scolastica, la filosofia cristiana medioevale, si servivano a quel tempo per rendere più accessibili all’intelligenza e alla cultura media del volgo concetti di difficile comprensione. 

La mia tesi, di cui furono relatore il professor Alfredo Schiaffini e correlatore il professor Maurizio Dardano, svolgeva in 330 pagine i seguenti temi: la “Regola” nel quadro della letteratura di devozione del Trecento e la cultura del Dominici; il linguaggio della Scolastica; citazioni latine e volgarizzamenti; l’ornato retorico; la sintassi del periodo; la sintassi della proposizione; l’ordine delle parole; la morfologia; il lessico. 

È stato, per me, un lavoro molto impegnativo, anche perché a quel tempo non c’erano Internet, computer e fotocopiatrici, e dovetti fare su foglietti di carta le schedature delle forme linguistiche da esaminare e comparare. Ma è stata anche un’esperienza molto formativa, della quale mi sono poi giovato come professore di Lettere nell’insegnamento della lingua italiana.

Nicola Bruni

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Nella foto, ritratto del beato Giovanni Dominici, affresco di fra’ Giovanni da Fiesole detto il Beato Angelico, 

nella Sala del Capitolo del convento di San Marco a Firenze (foto di Nicola Bruni).