Una prof dell’Augusto alla quale voglio dire “grazie”

L’insegnante di lettere Clelia Rotunno

    Ho un debito di riconoscenza verso la mia professoressa di lettere del ginnasio, Clelia Rotunno, l’insegnante che più di tutti gli altri ha influito in maniera positiva sulla mia formazione scolastica, culturale e umana, sebbene le idee politiche che esternava fossero diverse dalle mie. Sono stato suo alunno al liceo-ginnasio Augusto di Roma nel biennio 1955/1957, quando avevo 14-15 anni, per lo studio di ben cinque discipline: italiano, latino, greco, storia e geografia. 

    Sempre presente a scuola lei, sempre presente a scuola io, non persi nessuna delle sue lezioni, che seguii generalmente con attenzione per 18 ore alla settimana, nonostante i disagi del turno pomeridiano subìto a giorni alterni. Rotunno ci faceva prendere appunti su un grosso quaderno chiamato “Zibaldone” (come un’opera di Leopardi), nel quale dovevamo annotare definizioni di vocaboli e nozioni varie di tutte le materie che emergevano dalle sue spiegazioni.  

    Ne trassi un grande profitto, al punto che, passato al triennio liceale, avevo già raggiunto una tale padronanza della lingua italiana che, da direttore del giornalino di istituto, mi consentiva di correggere compiutamente gli svarioni degli articoli dei miei collaboratori. E avevo imparato così bene il latino e il greco, che alcuni miei compagni venivano a confrontare le loro versioni domestiche con le mie per poterle “aggiustare”.

    La cosa di cui sono maggiormente grato alla professoressa Rotunno, è l’essere riuscita a togliermi dalla testa la retorica nazionalista e guerresca dell’insegnamento che mi era stato propinato negli anni della scuola elementare e della scuola media, residuo dell’indottrinamento del regime fascista. Grazie a lei, cominciai a riflettere sulla falsità di una ideologia che mi proponeva come modelli da imitare “eroi” che avevano ucciso tanti “nemici”, cioè altri esseri umani, e come supremo ideale quello di “morire per la patria” in guerra, anziché vivere per migliorarla nella pace.

    Clelia Rotunno era una donna dalla personalità affascinante, con una voce gradevole, caratterizzata da una leggera inflessione campana (importata dalla nativa Sessa Aurunca). Di età, a quel tempo, intorno ai 45 anni. Chioma bianca argentata, occhi neri dallo sguardo profondo e intelligente, e un bel viso che, secondo le circostanze, si mostrava ora dolce e materno, ora severo e accigliato.

    Veniva a scuola vestita sempre con sobria eleganza. Nel tempo libero, si dedicava a un’attività di volontariato come crocerossina, indossando l’uniforme con il copricapo a mantellina che la faceva assomigliare a una suora.

    Non era sposata e non aveva figli. E sui motivi per cui una donna bella come lei non fosse giunta al matrimonio, noi alunni – maschietti e fanciulline – cercammo inutilmente di indagare. Si ipotizzava che avesse avuto da giovane un grande amore perduto, forse a causa della guerra, al quale si era voluta mantenere fedele; ma questa restò solo un’ipotesi.

    Come insegnante, si faceva capire bene nelle spiegazioni, era molto esigente riguardo ai contenuti e rigida nel mantenere la disciplina, ma rispettava la dignità degli alunni, che non insultava mai come “somari”, a differenza del suo arrogante collega di matematica. Era un po’ “stretta di manica” nell’attribuire i voti. E alla fine dell’anno promuoveva, rimandava o bocciava con giudizio severo ma imparziale.

Nicola Bruni


In questa foto, la mia classe V D dell’anno scolastico 1956/57, che ebbe Clelia Rotunno come insegnante di Lettere. Io sono il terzo da sinistra della prima fila.