La Festa della Repubblica, che si celebra il 2 giugno, è anche la festa della Costituzione democratica di tutti gli italiani, frutto degli ideali di chi si batté e di chi sacrificò la vita per la liberazione del nostro Paese dalla dittatura nazifascista.
Ricordo che la nostra bella Costituzione fu approvata dall’Assemblea costituente il 22 dicembre del 1947 a larghissima maggioranza, con 453 voti favorevoli e solo 62 contrari, e che l’Assemblea costituente era stata votata il 2 giugno del 1946 dall’89 per cento del corpo elettorale con la partecipazione per la prima volta anche delle donne.
Non la può stravolgere una coalizione politica minoritaria nel Paese (26,71 % dell’elettorato, 43,79 % dei voti validi) promossa a maggioranza parlamentare (58,67 %) dagli artifici di una legge elettorale truffaldina.
Il cosiddetto premierato, con l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, stravolgerebbe l’intero ordinamento costituzionale, con il rischio di trasformare in una “democratura” l’attuale sistema democratico. Infatti, potrebbe non essere “il popolo” a scegliere il Capo del Governo ma soltanto la fazione minoritaria più forte che ottenesse anche un solo voto in più.
Propongo a chi mi legge di riflettere sulle sagge considerazioni fatte in Senato da Liliana Segre:
“Continuo a ritenere che riformare la Costituzione non sia una vera necessità del nostro Paese. Presenta vari aspetti allarmanti su cui non posso e non voglio tacere.
Primo, il drastico declassamento che la riforma produce a danno del Presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato non solo viene privato di alcune fondamentali prerogative, ma sarebbe fatalmente costretto a guardare dal basso in alto un Presidente del Consiglio forte di una diretta investitura popolare.
Di fronte alla palese mortificazione del potere legislativo, si propone di riformare la Carta per rafforzare il già debordante potere esecutivo. Il rischio è quello di produrre una stabilità fittizia, nella quale un Presidente del Consiglio cementato dall’elezione diretta deve convivere con un Parlamento riottoso, in un clima di conflittualità istituzionale senza uscita.
E soprattutto rischiamo di produrre un’abnorme lesione della rappresentatività del Parlamento, ove si pretenda di creare a qualunque costo una maggioranza al servizio del Presidente eletto, attraverso artifici maggioritari tali da stravolgere al di là di ogni ragionevolezza le libere scelte del corpo elettorale.
E che dire dell’inedito inserimento in Costituzione del premio di maggioranza? Ciò significa che il partito o la coalizione vincente – che, come si è visto, potrebbe essere espressione di una porzione anche assai ridotta dell’elettorato – sarebbe in grado di conquistare in un unico appuntamento elettorale il Presidente del Consiglio e il Governo, la maggioranza assoluta dei senatori e dei deputati, il Presidente della Repubblica e, di conseguenza, anche il controllo della Corte costituzionale e degli altri organismi di garanzia.
Il tutto sotto il dominio assoluto di un Capo del Governo dotato di fatto di un potere di vita e di morte sul Parlamento. Siamo di fronte ad uno stravolgimento ancora più profondo del Presidenzialismo e che ci espone a pericoli ancora maggiori”.
Questo vale per qualunque forza politica – non solo la destra – che conquistasse il premierato.
Tuttavia, io sono convinto che la cosiddetta “madre di tutte le riforme” non passerà al referendum popolare confermativo, nel quale non ci sono meccanismi elettorali per far vincere una minoranza. Nella difesa della Costituzione, come in precedenti consultazioni referendarie, gli italiani democratici ritroveranno l’unità.
Nicola Bruni