C’è molta pressione, da parte dei mass media e di alcuni partiti politici, in favore di un presunto “diritto a morire” mediante l’eutanasia (omicidio del consenziente) o il suicidio assistito, ma non vedo un’analoga mobilitazione in favore del diritto alla cura (sancito dall’articolo 32 della Costituzione) di chi, pur essendo gravemente ammalato, vuole continuare a vivere. Cure palliative e assistenza domiciliari (che costerebbero molto meno del ricovero ospedaliero) non vengono adeguatamente garantite dal Servizio sanitario nazionale ai malati terminali.
Ne ho fatto la dolorosa esperienza io, con mia moglie Elina, che a causa di un meningioma è stata soggetta ad una letale paralisi progressiva dal febbraio 2020 all’agosto 2021, in piena pandemia da Coronavirus. Dovendo scegliere tra il ricovero in una RSA, con la prospettiva di non poterla più rivedere in vita, e l’assistenza domiciliare con badanti a mie spese, ho avuto la possibilità economica – grazie a risparmi prudentemente accumulati – di tenerla in casa, dove ha trascorso gli ultimi mesi della sua esistenza terrena con il conforto degli affetti familiari, l’aiuto di assistenti premurose e la frequenza settimanale all’Eucarestia. La Asl Roma 2 ha fornito alcuni servizi, ma il 90 per cento della spesa è stata a mio carico.
Un problema analogo sto affrontando ora con la sorella superstite di mia moglie, 79 anni, che vive da sola a Catania e dallo scorso mese di settembre non riesce più a camminare. Ho dovuto assumere delle badanti per garantirle (io da Roma) un’assistenza domiciliare continua.
Le è stato diagnosticato un carcinoma ad una gamba. Da cinque mesi sta aspettando il riconoscimento dell’invalidità civile, con relativo assegno di accompagnamento. Altrettanto vana è stata finora l’attesa per la vaccinazione domiciliare anti-Covid.
Nessun ospedale, a causa della pandemia, accetta di ricoverarla per gli accertamenti necessari ad un eventuale intervento chirurgico o per un’eventuale chemioterapia, e ogni volta che deve sottoporsi ad una visita ospedaliera o ad un esame diagnostico dobbiamo pagare un’ambulanza privata, fornita a prezzo modico (60 euro) dai volontari di una confraternita.
Io ho la possibilità di sostenere queste spese per mia cognata. Ma gli ammalati nelle stesse condizioni che non ce l’hanno, restano abbandonati a se stessi. Ed è poi comprensibile che invochino di essere uccisi. La negazione delle cure è un’istigazione al suicidio.
Nicola Bruni
Fine vita e cultura dello scarto
Il malato grave che voglia cessare di vivere può ottenere, in Italia, questo risultato facendo interrompere le sue terapie, comprese l’alimentazione e l’idratazione artificiale, che la legge sulle DAT (Disposizioni anticipate di trattamento) del 2017 ha incluso, in maniera controversa, fra le terapie mediche.
Nei casi di incoscienza del malato, la stessa richiesta può essere avanzata dai suoi familiari, con la giustificazione di evitare l’accanimento terapeutico. E il moribondo può essere accompagnato all’esito finale con una sedazione profonda che non lo faccia soffrire.
Non c’è bisogno di leggi sull’eutanasia (omicidio del consenziente) e sul suicidio assistito, che, seppur concepite per i “casi pietosi”, inevitabilmente avrebbero poi un’applicazione estensiva alle persone più indifese e indesiderate.
Queste, infatti – come ha eccepito la Corte Costituzionale bocciando il referendum sull’eutanasia -, potrebbero essere indotte a chiedere la morte perché lasciate sole o maltrattate da familiari desiderosi di liberarsi di un fastidio o di incassare anticipatamente l’eredità, o perché private delle cure indispensabili da un Servizio sanitario inefficiente e avaro.
In certi casi, basterebbe che un figlio o una figlia lasciasse capire al proprio genitore che farebbe il bene dei suoi cari togliendosi di mezzo anticipatamente, per indurre un vecchio malato a chiedere la morte come un ultimo sacrificio accettato per amore. Alla domanda sul perché i fautori di una campagna ideologica a favore dell’eutanasia e del suicidio assistito non si battono con la stessa veemenza affinché sia garantito il diritto costituzionale alle cure a tutti quegli ammalati che vogliano continuare a vivere, risponde indirettamente Papa Francesco: perché sono influenzati da una dominante cultura dello scarto, dello scarto delle vite considerate inutili e ingombranti
Nicola Bruni
I “peracottari” dei referendum camuffati
Hanno cercato di spacciare la liberalizzazione delle droghe pesanti (“le pere”) per legalizzazione della cannabis, le cosiddette droghe leggere, i promotori del relativo referendum bocciato dalla Corte costituzionale. Cioè gli autori di quella proposta referendaria (che non sono degli sprovveduti) hanno manipolato l’opinione pubblica cercando di imbrogliare gli italiani. E i 630mila firmatari di quel referendumo si sono fatti raggirare o sono stati complici del tentato imbroglio.
Infatti, come ha rivelato il presidente della Corte Giuliano Amato, il quesito proposto chiedeva di abrogare una norma di legge riguardante la proibizione delle droghe pesanti, come eroina e cocaina, e non la cannabis, che sarebbe rimasta illegale. Quel referendum è stato giudicato inammissibile perché in contrasto con le convenzioni internazionali sulle droghe pesanti sottoscritte dall’Italia.
Analogamente, l’altro quesito referendario bocciato dalla Corte non si limitava a proporre – come sostenuto dai promotori del referendum – la legalizzazione dell’eutanasia di ammalati irrecuperabili e in condizioni di estrema sofferenza, ma la parziale abrogazione dell’articolo 579 del Codice penale, riguardante l’omicidio del consenziente (“Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni”), che si sarebbe applicata ad ogni fattispecie di reato del genere, comprese le sfide mortali tra ragazzi proposte da Tik Tok, come ha spiegato l’ex presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick. Perciò, cari lettori, state attenti a non farvi manipolare da politici imbroglioni.
Nicola Bruni