Lezione di antiquariato lessicale per i miei due nipoti di 8 anni.
Quando io avevo 8 anni, nel 1949 a Roma, i bambini di famiglie benestanti si dicevano nati con la camicia e, molti di loro, nei primi mesi venivano allattati da una balia.
Allora, frequentavo la terza classe della scuola elementare (che oggi si chiama “primaria”); pendevo dalle labbra della Signora Maestra e, in sua assenza, stavo agli ordini del capoclasse.
I voti oscillavano tra zero spaccato e dieci e lode.
Per scrivere, intingevo il pennino in un calamaio; poi asciugavo l’inchiostro con una carta assorbente. Per produrre la copia di un testo, usavo un foglio di carta carbone.
Quando andavo al gabinetto, sulla porta non trovavo scritto “WC”, ma “fesso chi legge”.
Se qualche compagno mi provocava, gli rispondevo educatamente: “Vaffallovo!”.
Gli insegnanti avevano il permesso di tirare le orecchie agli alunni somari e di bacchettare gli svogliati, gli scostumati e gli screanzati. In fondo alla classe, c’era un famigerato banco degli asini.
Frequentando ragazzi più grandi, per la strada, cominciavo ad imparare l’arte di attaccarsi al tram, mentre alcuni scavezzacollo ci si attaccavano davvero.
In casa, il mio gioco preferito era quello delle lattine. Per accendere la luce giravo l’interruttore. Per ascoltare musica, mettevo in funzione un giradischi. Per incollare un oggetto usavo la colla Cervione.
Talvolta, i miei genitori mi mandavano a comprare le ciriole, la gazzosa e la soda nella bottega del droghiere. Per merenda, mangiavo un maritozzo.
Se avevo i pidocchi, mi spruzzavano la testa con il DDT. Se avevo la lingua sporca, mi purgavano – puah! – con olio di ricino. Come ricostituente, mi facevano ingoiare un orrendo cucchiaio di olio di fegato di merluzzo
A Natale papà mi regalava una piotta, cioè una banconota da 100 lire.
La mamma si faceva acconciare i capelli da un coiffeur, indossava un paletot e un cappellino con velettaconfezionato dalla modista, e a fine stagione li portava da lavare in tintoria.
A quel tempo, i treni più lenti erano gli accelerati. Le automobili dei signori erano guidate da chauffeur. Le buste si sigillavano con la ceralacca. I film si proiettavano nei cinematografi. Nei dancing si bevevano tè danzanti. I giovanotti chiamavano le ragazze “signorine” e, se volevano sposarne una, dovevano chiederne la mano al padre di lei.
Infine, i preti usavano predicare dal pulpito anziché – come fanno oggi – dall’ambone. Perciò, la gente poteva ancora domandarsi: “Da quale pulpito viene la predica?”.
Nicola Bruni
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Nella foto, la mia Terza C – 1949/50 della scuola elementare Alessandro Manzoni di Roma. Io sono il quarto da sinistra della prima fila.
I bambini senza il fiocco (17 su 33) facevano parte di un gruppo di orfanelli (“nati senza camicia”) ospitati in un istituto delle Suore di Malta.
Il capoclasse, con una fascia al braccio sinistro, è il quarto da destra della seconda fila.