Perché fare il bene? E che cos’è il bene?

Riflessioni su “coscienza e legge morale” per un dibattito con gli studenti.

Se io dico: “Non mi interessa fare del bene agli animali”, come mi giudicate? Perché dovrei fare del bene agli animali? Potrei farlo per simpatia, per inclinazione naturale, per non vederli soffrire. Potrei farlo e non farlo: per me è facoltativo, non un obbligo. Quindi, se non lo faccio, non sono in colpa. E d’altra parte io non mi sento in colpa quando mangio la carne di un animale tagliato a pezzi da un macellaio.

Ma se io vi dico: “Non mi interessa fare del bene ad altri esseri umani, come mi giudicate? Un egoista?

Perché dovrei fare del bene ad altri esseri umani? Potrei farlo o non farlo: per me è facoltativo, non un obbligo, specialmente se gli altri non fanno del bene a me. Quindi, se non lo faccio, non sono in colpa.

Qualcuno dirà: “Devo fare il bene per stare in pace con la mia coscienza”. Ma che cos’è la coscienza? E’ il nostro modo di ragionare che ci fa distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto. Ma che cos’è il bene e che cos’è il male? Che cosa è giusto e che cos’è ingiusto?

Molti ritengono giusto e morale fare del male ai nemici; molti ritengono eroico e patriottico ucciderli in guerra, e si sentono in pace con la propria coscienza. Molti ritengono non solo giusta la vendetta per un torto subìto, ma un disonore non compierla (delitto d’onore).

Presso alcuni popoli la legge dello Stato, o soltanto la consuetudine sociale, ammette cose che la coscienza di altri popoli rifiuta: per esempio, la schiavitù, il matrimonio in età infantile deciso dai genitori, la poligamia, l’incesto, l’aborto, l’uccisione dei figli da parte del padre, l’eutanasia, la pena di morte, lo sfruttamento dei lavoratori, la repressione delle libertà civili e politiche.

I nazisti consideravano un dovere sterminare gli ebrei, compresi i bambini, e ciò non gli impediva di stimarsi in coscienza come brave persone, di essere affettuosi, gentili, generosi nel loro ambiente, e magari commuoversi per le sofferenze di un cagnolino ferito.

Dunque, la coscienza è qualcosa di molto relativo, che varia secondo l’educazione ricevuta.

Perché tormentarsi per il male compiuto se poi non si è chiamati a renderne conto? Il rimorso ha un senso solo se c’è un Dio che vede e giudica le nostre azioni, premia o castiga. Altrimenti, noi potremmo riuscire a compiere il male senza che nessuno lo sappia e che nessuno ci giudichi e ci punisca.

Ne consegue che se la coscienza prescinde da Dio e dalla legge morale che Dio ci ha dato, anche il giusto e l’ingiusto, il bene e il male diventano concetti relativi, variabili da persona a persona e secondo le convenienze. Perciò, io do ragione a Dostojevskij quando, nel romanzo “I fratelli Karamazof”, afferma: “Senza Dio e senza vita futura, tutto è permesso, tutto è lecito”.

Perciò, il papa Benedetto XVI consigliava agli “amici non credenti” di vivere comportandosi “come se Dio esistesse”. E, in effetti, molti non credenti seguono princìpi morali derivati dall’insegnamento evangelico.

Per me, che credo nel Dio manifestatosi al mondo nella persona di Gesù Cristo, è giusto tutto ciò che è conforme alla sua parola o non contrasta con i suoi comandamenti (ama il prossimo tuo come te stesso, onora il padre e la madre, non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non dire il falso,..), mentre è ingiusto ed è male tutto ciò che vi si oppone, anche se è consentito da una legge dello Stato.

Io che credo in Dio, dico: debbo fare del bene al prossimo non solo perché è bello e perché mi piace, ma per amore di Dio che me lo ha comandato, così come fa un bambino che ubbidisce alla mamma, per amore della mamma, per farla contenta e meritarsi il suo affetto.

Nicola Bruni

Lascia un commento