La Novena di Natale della mia infanzia

Ricordo la Novena di Natale della mia infanzia: quella che veniva organizzata per i bambini delle scuole elementari e medie dalla parrocchia romana della Natività, con la celebrazione della Santa Messa tra le 7 e le 8 di ogni mattina, dal 16 al 24 dicembre. Negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, era un evento che coinvolgeva l’intero quartiere Latino-Metronio di Roma, e riempiva di fanciullini e fanciulline la grande chiesa di Via Gallia, ancora in orario antelucano. Cominciai a frequentarla nel 1946, all’età di cinque anni, e smisi solo dopo essermi iscritto al liceo.

    L’inizio della Messa era preannunciato da tre scampanii: il primo alle 6,15, che funzionava da sveglia; il secondo alle 6,30; il terzo alle 6,45, quando bisognava uscire di casa. Poiché abitavo ad un centinaio di metri in linea d’aria dal campanile, non correvo il rischio di non svegliarmi fin dal primo rintocco.

    Nel mio palazzo, di Via Licia 54, c’era una frotta di bambini che partecipavano alla Novena: perciò, di solito, andavamo in gruppo, senza accompagnamento di genitori.

    Uscivamo che era ancora buio, tutti incappottati e incappucciati per il freddo, con la sensazione di partecipare all’avventura di un presepe vivente.

    Nessuno di noi voleva mancare a quegli appuntamenti mattutini con Gesù Bambino (solo la febbre ci avrebbe trattenuto a casa), e ci compiacevamo di fare il sacrificio di quella levataccia per amor suo, elogiati dalle nostre mamme.

    Bisognava sbrigarsi, perché altrimenti non si trovava posto a sedere in chiesa, tanto era l’affollamento. I maschi occupavano i banchi del settore sinistro, le femmine quelli del settore destro. All’ingresso dovevamo far timbrare, dai catechisti, il tesserino personale con la stellina di presenza giornaliera, che alla fine, con 9 stelline, avrebbe dato diritto alla consegna di una medaglietta ricordo.     

La cosa più straordinaria è che fra i numerosi bambini che si alzavano così presto per andare in chiesa, c’erano anche dei monellini prepotenti, che spingevano i compagni pigiati nei banchi, fino a buttarli fuori, o scavalcavano chi era prima di loro nella fila delle confessioni.

    A metà della navata centrale, sulla sinistra, c’era un grande pulpito in muratura, dall’alto del quale il celebrante predicava, parlando senza microfono, e un altro sacerdote durante la Messa dirigeva i canti, fra i quali principalmente “Tu scendi dalle stelle”.

    Conservo la memoria visiva di un canto che il viceparroco don Tarcisio ci faceva fare agitando ritmicamente le braccia dal pulpito: “Tutte le lingue di quaggiù a Lui cantano, insiem con gli angeli del ciel”. Io, vedendo quelle braccia ondeggianti verso di noi dall’alto, immaginavo che esse guidassero l’ondeggiare delle lingue che cantavano “quaggiù”, nelle nostre boccucce aperte.

Nicola Bruni

Nella foto in alto, il mosaico absidale della chiesa della Natività a Roma in Via Gallia.