Un criminale di guerra tra i busti del Pincio

Il tronfio personaggio, coperto di medaglie, raffigurato in questo busto del Pincio a Roma, è il generale Enrico Morozzo della Rocca (1807-1897), che dal 1860 comandò il V Corpo d’Armata dell’esercito sabaudo nell’invasione del Regno delle Due Sicilie e poi nella sanguinosa repressione del cosiddetto Brigantaggio, da lui condotta con la ferocia di un esercito occupante un territorio nemico da sottomettere e colonizzare.

Mi ero imbattuto nel nome di questo “criminale di guerra” leggendo i libri di “antistoria” sull’argomento di Pino Aprile e Giordano Bruno Guerri, nei quali si ricordano gli ordini da lui impartiti di fucilare tutti i prigionieri e anche di non perdere tempo a fare prigionieri.

Si fucilava senza processo per un semplice sospetto o per una delazione. Si colpivano anche gli “indifferenti”.
Gli ordini erano – riferisce Pino Aprile nel libro “Terroni”- di “fucilare immediatamente” chi venisse trovato con un’arma “di qualunque specie”, come pure la falce, il coltello, l’accetta e altri attrezzi dei contadini. I quali, di conseguenza, avrebbero potuto recarsi nei campi solo a mani nude, e a digiuno, poiché era anche “proibito portare pane e altri viveri fuori delle mura del comune”.
Così come era vietato far arrivare dai paesi vicini cibo per i contadini, ai quali si concedeva di poterne detenere solo il bastevole “a nutrire per una giornata ogni persona della famiglia”: avevano inventato la modica quantità per uso personale.
E domani che si mangia? E le provviste per l’inverno, i legumi secchi, le friselle, la farina? Chi osava fare queste domande, poteva passare per brigante.

Proibita la caccia, proibito andare nei boschi, proibita la pastorizia, obbligo di abbattere entro 48 ore gli stazzi e le capanne nei boschi.

Condanna a morte “con rito sommario” anche per “gli spargitori di voci allarmanti”; per chi inducesse “i villici” al lamento, alla protesta; per chi insultasse il ritratto del Re, lo stemma dei Savoia e la bandiera italiana. A morte chi vede un brigante e non lo denuncia, chi gli presta qualsiasi forma di aiuto o indicazione. Come dire: “Se obbedisci al brigante, ti uccidiamo noi; se non obbedisci, ti uccide lui”.

Fu così che un rapporto inviato a Torino nel 1861 dal “viceré” Enrico Cialdini, soprannominato “il Macellaio”, delineò il seguente bilancio dei primi nove mesi di “guerra al brigantaggio” nel solo Napoletano: 8968 fucilati, tra i quali 64 preti e 22 frati; 10.604 feriti; 7112 prigionieri; 918 case e 6 paesi interamente bruciati; 2905 famiglie perquisite; 12 chiese saccheggiate; 13.629 deportati; 1428 comuni messi in stato d’assedio (perché si erano ribellati).

La guerra civile dei “piemontesi” contro le popolazioni del Sud che resistevano ai colonizzatori si protrasse per 12 anni, finché non fu ucciso l’ultimo “brigante”.

Nel frattempo, come argomenta lo stesso Pino Aprile nel libro “Carnefici”, si registrò nelle regioni meridionali la scomparsa di centinaia di migliaia di persone. Un genocidio?

Nicola Bruni

Nella foto (di Nicola Bruni), busto marmoreo del generale Enrico Morozzo della Rocca tra le statue del Pincio a Roma.